Le miniere di re Salomone – Come nasce un Indiana Jones

miniere-re-salomoneLe miniere di re Salomone” è un romanzo d’avventura scritto nel 1885 da Hanry Rider Haggard, un distinto gentiluomo britannico, ambientato in Africa.
Un romanzo colonialista, maschilista, razzista e decisamente qualche altro “ista” del genere. Eppure, un libro bellissimo, che ha dato inizio a un filone narrativo che a oggi tantissimi amano: come suggerisce il titolo del post, senza Allan Quatermain, protagonista del romanzo, non avrebbe mai visto la luce l’archeologo/avventuriero più famoso del mondo, nè daremmo alcun valore romanzo a una frusta e a un fedora consunto.
In generale, in effetti, a oggi non esisterebbero i grandi classici del romanzo d’avventura dell”800 e del ‘900 che a qualcuno ancora oggi sono tanto cari. (Foto: King Solomon’s Mines)

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La trama

Africa, fine ‘800.
Allan Quatermain è un avventuriero inglese che vive grazie alle sue riconosciute abilità di guida e cacciatore, oltre che a un innato talento nel gestire ogni situazione con astuzia e lucidità; la sua grande avventura comincia quando incontra due bizzarri personaggi: Sir Hanry Curtis e il suo leale amico, il capitano Good.
I due sono in cerca del fratello di Sir Curtis, perdutosi nelle zone più selvagge dell’Africa nera in cerca delle leggendarie miniere di diamanti di re Salomone; anche se il poveretto fosse morto nell’impresa, è desiderio del gentiluomo di scoprirne la sorte con certezza, essendo molti mesi che ne ha perso ogni notizia.
Quatermain, benchè scettico, è portato da una serie di bizzarre coincidenze – oltre che da un’offerta irresistibile – a lasciarsi assumere dai due uomini, pronto a condurli verso una missione apparentemente disperata.
Inutile dire che, proseguendo verso le più sperdute zone di misteri e leggende del continente nero, i tre incontreranno una serie di eventi più incredibile dell’altra, svelando il mistero delle miniere perdute.

Ma insomma, e il razzismo?

Come dicevo, sì, il romanzo è decisamente scorretto.. almeno secondo gli standard del ventunesimo secolo.
I nativi africani sono considerati forti e agguerriti, ma ingenui, meschini (tranne che in certi casi eccezionali) e ben consapevoli della loro inferiorità rispetto all’Uomo Bianco.
I bianchi sono per natura dominatori dei neri, e gli inglesi sono per natura dominatori tra i bianchi, o almeno così sembra essere dato per scontato.
Le donne possono essere dolci, ammalianti, certamente leali (fino alla morte, perdiana!) ma certamente non è appropriato che si intromettano in una storia più che come ammirate e innamorate spettatrici, o al limite come premio/indifesa creatura da salvare.
Potrei andare avanti, ma penso il concetto.. eppure, non va dimenticato qualcosa.
Il romanzo fu scritto alla fine del 1885, in piena espansione colonialista, e dobbiamo considerare due fattori: il primo è che un prodotto è sempre elaborato in funzione del suo contesto storico, e all’epoca, in un salotto inglese, sarebbe stato difficile accettare opinioni troppo lontane da queste.
In secondo luogo, la cosa interessante è che Haggard fu, nei confronti dell’argomento Africa, molto più aperto e “progressista”, a modo suo, di tanti suoi coevi; tolto lo strato grossolano di innato senso di superiorità razziale, messo lì più a uso e consumo dei lettori britannici che altro, è evidente la profonda stima che, in cuor suo, l’autore nutriva per quel continente e i suoi abitanti. Di fatto, va anche riconosciuto ad Haggard il merito di aver scritto per esperienza propria.

Haggard, va detto, visse l’Africa in prima persona: a 19 anni il padre ve lo spedì a fare esperienza e lì il giovane Henry visse sette anni molto intensi, alternandosi tra lavori governativi, esperienze militari, storie d’amore (finite male) e lotte politiche. Negli anni successivi, non dimenticò mai l’Africa, che anzi tornò poi a trovare in alcune occasioni.
Sull’autore ci sarebbe poi molto altro da dire, compresa una sua tendenza filantropica e romantica che rimase segreta fino a dopo la sua morte, e altro ancora.
Ma torniamo all’opera.

Il filone avventuroso

A oggi, i critici concordano nel sostenere che fu l’influenza delle Miniere a gettare le basi del genere romanzesco della Grande Avventura e del tema del “mondo perduto”: successivi ad Haggard – e con evidenti riferimenti – furono opere famose di autori quali Kipling, Doyle, Burroughs, Merrit, Lovecraft e Chester, per non parlare di ciò che a sua volta ne è venuto.
Indiana Jones, come detto – che in certe scene delle miniere sembra iniziare a essere già profilato – e tutta la cultura derivante, fino ai vari Tomb Rider e Uncharted.

Perchè leggerlo?

Dimenticate per un attimo tutte le regole del politically correct che oggi siamo obbligati a manifestare in continuazione, nel timore di essere linciati perchè razzisti, sessisti o in generale “socialmente scorretti”.
Mettete un momento da parte gli sterotipi dell’indigeno africano, del bianco inglese colonizzatore, e di ogni altra figura ormai tacciata di cattivo gusto a prescindere.
Se ho anteposto queste caratteristiche è proprio perchè voglio far capire come questo romanzo sia piacevole, godibile ed emozionante NONOSTANTE tutte queste piccole pecche che solo oggi potremmo notare!

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Ne “Le miniere di re Salomone” potrete vivere un’avventura bellissima, soddisfacendo i ragazzini che siete o che siete stati, esplorando un’Africa non immaginaria, non archetipica, ma VISSUTA sulla pelle dell’autore; sentirete caldo nel deserto, e freddo attraversando le montagne; sorriderete alle “magie” con le quali l’orgoglioso e pomposo capitano Good impressiona alcuni nativi, e potrete provare simpatia per il fiero e determinato Sir Curtis, nel quale rivive un guerriero norreno (in cui Haggard va ripescando la propria genealogia), e ancora potrete apprezzare l’arguzia tagliente e asciutta di Quatermain, un avventuriero che, sfuggendo alle aspettative del suo creatore, è finito per diventare, che lo si sappia o no, L’Avventuriero per eccellenza, il primo di tutti gli esploratori di rovine perdute.

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