PANDORA – Capitolo 12

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Orrec raggiunse Vejen mentre questi finiva di equipaggiarsi. Il pescatore aveva una pessima cera: era pallido, fiacco, e aveva gli occhi offuscati dal sonno e dalla stanchezza. Ovviamente non aveva dormito molto, né bene, nella nottata appena trascorsa.

Avvicinandosi al ragazzo, Orrec esitò leggermente, incerto su cosa dire: nelle ultime ore – possibile che fosse trascorso solo un giorno da quando tutto questo disastro era cominciato? – aveva riflettuto, cercando di assimilare tutti gli eventi accaduti, e si era tormentato sulla sorte della sua famiglia. Al momento, comunque, aveva un bisogno disperato di qualcuno di cui fidarsi, ma non era facile: esclusa una ciurma di pirati e la loro gelida comandante, aveva a disposizione un Perduto (così l’aveva sentito chiamare, no?) che decisamente non ispirava simpatia, un cacciatore di taglie dall’aria truce e dallo sguardo letale, una strega il cui sorriso gli faceva raggelare il sangue e una specie di bambino demoniaco con il suo cane infernale; l’unico che non sembrasse essere disumano, crudele o spaventoso, era Vejen, il quale, per quanto strampalato e impetuoso potesse apparire, almeno non sembrava minaccioso né indisponente; al contrario, il ragazzo sembrava essere l’unico che si fosse preoccupato della sua situazione. Prendendo coraggio, Orrec disse:
– Vejen? Mi sono svegliato poco fa, e vedo dell’agitazione… cosa sta succedendo? Non sono ben sicuro di aver capito cosa è successo dopo che abbiamo attraversato il Portale… né prima, se per questo. Come mai abbiamo gettato l’ancora vicino a questa… a quella…
Con un gesto di disagio, indicò la città galleggiante sospesa a pochi metri dalla nave. Il ragazzo, come al solito, gli sorrise affabilmente, gesticolando mentre parlava.
– Oh, è semplice. Siamo sbucati in un modo sconosciuto, e chiaramente l’ideale sarebbe raccogliere informazioni prima possibile. Il mio libro non ha potuto aiutarmi molto: dice che qui non ha accesso a dati sufficienti, né riesce a collegarsi a una rete decente, qualsiasi cosa voglia dire; tuttavia, ha rilevato dei segnali venire dalla città; la bellissima capitana di questa nave ha deciso che potrebbe essere anche una buona occasione per raccogliere acqua o provviste, dato che, per l’attacco a Vecchioconfine, non ha avuto tempo di fare buoni rifornimenti. In questo momento credo stia scegliendo gli uomini da mandare. Dì un po’, non credi che le piaccia? Io credo di sì.
Muovendosi a disagio, Orrec si morse un labbro dicendo, mentendo orribilmente:
– Ecco, forse sì. Magari lei, uhm, lo dimostra insultando la gente, se qualcuno le piace. Non so.
– Sì, è probabile! – annuì con convinzione Vejen, mettendosi lo zaino in spalla e avviandosi lungo il ponte, seguito da Orrec – Comunque, io intendo andare a dare un’occhiata, sia per permettere al mio libro di raccogliere dati sia perché sono curioso. Beh, sono sempre curioso, io, ma che fa. Tu comunque approfittane per riposare un po’: immagino sarai distrutto. Hai una cera terribile.
– Sì, lo immagino. Ma ascolta, vorrei solo capire… che piani abbiamo ora? Quello strano… bambino, ha detto che avremmo potuto salvare la mia famiglia. Io non sto capendo molto di questa storia, ma tu sembri sapere sempre tutto: cosa succederà ora?
Vejen si fermò, gli mise una mano sulla spalla con aria di simpatia e ci pensò un momento.
– Sai, in realtà non ne sono sicuro. Credo che per un po’ dovremo farci portare dalla corrente. Ma non disperare! I Due mi proteggono sempre, e so con certezza che arriveremo esattamente dove dovremo arrivare. Tu fidati di me e seguimi: io ti prometto che se un modo di salvare la tua famiglia c’è, ti aiuterò a realizzarlo.
Inarcando un sopracciglio, Orrec non poté trattenersi dal chiedere:
– Perché? Cioè, grazie, ma perché mi vuoi aiutare? Cosa ne viene, a te?
In tutta risposta, Vejen si limitò a fargli l’occhiolino, si voltò facendogli cenno di seguirlo e riprese a camminare. Disse solo:
– Lo farò perché mi va di farlo. Piuttosto, se vuoi renderti utile a me e, di conseguenza, a te stesso, approfitta del tempo che starai qui per conoscere un po’ l’equipaggio. Raccogli informazioni.
– Informazioni? Di che genere?
– Di qualunque genere. – replicò semplicemente il giovane.
Lungo il ponte, incrociarono Nomus; il Perduto stava seduto sul parapetto della nave, e la sua aria era, se possibile, ancora più tetra del solito. Vejen lo salutò allegramente, chiedendogli come stesse. Con una certa sorpresa di Orrec, questi rispose:
– Ero pronto ad affrontare il falso bambino. A distruggerlo, finalmente. Forse il suo cane mi avrebbe ucciso, ma prima di morire sarei riuscito a colpirlo con una scarica, anche una sola sarebbe bastata.
– E perché non l’hai fatto? – chiese Vejen, senza mostrare alcun turbamento.
– Perché forse non è ancora giunto il momento. Non credo che stesse cercando di guadagnare tempo, quando ha detto che la sua presenza servirà più avanti. Ho supposto che se lo avessi ucciso ora, avrei condannato la tua famiglia – aggiunse indicando Orrec, con grande stupore di questi – e allora, ho pensato, in cosa sarei stato meglio di lui? Non avrebbe avuto senso, per vendicare il mio popolo, rischiare di estinguere quello di un altro. Non lo so, devo riflettere. Mi servirà del tempo.
Orrec lo stava fissando senza parole, quando Vejen, annuendo brevemente, replicò, esultante come al solito:
– Perfetto! Allora puoi approfittarne per tenere d’occhio la situazione insieme al nostro buon Orrec mentre io vado a fare l’esploratore. Sono più tranquillo, così: se ci fosse qualche pericolo, so che potrai occupartene tu. Sulla nave resterà anche Negato, gli ho chiesto prima se voleva unirsi a noi e ha rifiutato, ma se siete in due starò più tranquillo. Anzi, a proposito di Negato, non è che potresti tenere d’occhio anche lui? Non vorrei che facesse qualche stupidaggine. Grazie! – aggiunse allontanandosi prima di ricevere risposta, dirigendosi verso il drappello di uomini che si preparavano allo sbarco. Dopo qualche momento, Orrec chiese, a nessuno in particolare:
– Perché fa così? Che gli importa di me, o di te, o di Negato? Perché è così… premuroso?
Sorprendendolo ancora, Nomus rispose:
– Non ne ho idea. Quell’umano non riesco a capirlo. Comunque sia, lo apprezzo.
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La Tagliacuori era stata agganciata alla cittadella, arpionandola con delle cime, e su di esse era stata montata una passerella. Yiren aveva già definito il gruppo che sarebbe sbarcato, includendovi se stessa, con palese insoddisfazione di Phonse. Il pirata barbuto, infatti, stava cercando in tutti i modi di dissuadere la sua capitana, ma a tutte le sue proteste, lei si limitò a replicare:
– Phonse, ho bisogno di sgranchirmi le gambe! Sono rimasta chiusa a bordo anche troppo a lungo, e devo muovermi un po’ o impazzirò. Ora fai il bravo e obbedisci agli ordini senza discutere, come Attanio.
Phonse colse il tono ironico della sua comandante e non si offese, ma non poté impedirsi di borbottare:
– Bella forza, capitana, lui è muto, dannazione!
– Comunque – riprese lei, indicando Attanio e altri due uomini scelti per quella spedizione – non vado certo sola. Non correremo alcun rischio inutile; tu pensa a tener d’occhio la nave e i nostri “ospiti”, e non preoccuparti di nient’altro. Voialtri, tutti pronti? Andiamo?
– Capitana, mia capitana! – giunse una voce dalle sue spalle – Sono prontissimo a seguirti ovunque! Anche se in questo caso credo che ti guiderò. Potremo approfittarne per conoscerci meglio, contenta?
Lei si raggelò, voltandosi verso quel ragazzo fuori di testa. Disse, in tono tagliente:
– Tu? Cosa diavolo vuoi tu?
Lui non smise di sorridere un istante; la guardò negli occhi, esalando un sospirone, e disse:
– Oh, vorrei tante cose, a partire da una cenetta a lume di candela, io e te soli. Ma se intendi cosa voglio “adesso”, mi accontento di venire con te. Avrete bisogno di me, e dei miei artefatti.
– Non ti ho detto che potevi venire!
– Oh, ma io non sono uno dei tuoi pirati. Non puoi darmi ordini. – replicò lui sornione – Cioè, potresti, ma a meno che questi non si spostino in un ambito più intimo, non credo che obbedirò. Allora andiamo?
Lei fu tentata di farlo legare e gettare in mare, ma in fin dei conti, si disse, non ne valeva la pena. Senza replicare, fece strada e, insieme alla sua squadra, si inerpicarono su per la passerella.
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Attraversare le mura esterne della città non fu difficile: erano rovinate e piene di brecce, alcune delle quali abbastanza larghe da farli passare tutti senza problemi. Una volta entrati, si trovarono davanti uno spettacolo affascinante: la città doveva essere stata, un tempo, un luogo incredibile e straordinario; grosse statue si allineavano lungo la strada principale, alte torri si ergevano adombrando edifici appariscenti e maestosi, adorni di mosaici, statuette e affreschi. Eppure, ora tutto questo cadeva in rovina: tutto era in pezzi, le erbacce che spaccavano l’acciottolato e l’edera che si inerpicava lungo le mura degli edifici stavano chiaramente prendendo il sopravvento su tutto. Avanzando nel silenzio più totale, non incontrarono altri abitanti che numerosi uccelli che volavano liberi tra i torrioni e le soffitte, padroni di tutto.
Proseguirono un po’ a casaccio per una decina di minuti, iniziando a entrare in alcuni edifici lungo il percorso: le porte, dove ancora ce n’erano, erano marce e cadenti, e non fu difficile intrufolarsi ovunque; tuttavia, non trovarono che mobili sfasciati dal tempo e dal marciume, e polvere, tantissima polvere. Finalmente, sempre più frustrata, Yiren si decise a rivolgersi a Vejen, che fino a quel momento aveva seguito il tragitto in silenzio. In tono aspro disse:
– Dicevi di poterci guidare. Allora fai vedere di cosa sei capace.
Lui annuì, senza distogliere lo sguardo affascinato dalle rovine, e rispose:
– Sì, mia adorata. Lasciami solo consultare il mio amico, qui.
Tirò fuori il libro, mentre Yiren e i suoi uomini lo scrutavano perplessi, quindi disse:
– Allora, dicevi che c’era dell’attività, qui in giro. Dove dobbiamo andare?
Tra le pagine, con stupore estremo dei pirati, comparve una planimetria della città; un puntino rosso indicava la loro posizione, e un tragitto indicava la strada verso una meta lampeggiante. Senza esitare, Vejen seguì, a passo svelto, la strada indicata, seguito subito dagli altri. Ci volle ben poco per arrivare vicino al centro delle rovine, presso una delle torri maggiori; aggirandola, il gruppo individuò una porta nascosta in un vicolo laterale: nonostante tutto, questa porta appariva ancora solida e pesante. Ci pensò Attanio: il colosso nero si diede da fare e dopo uno, due, tre, quattro violenti calci i cui tonfi infransero il silenzio, la porta si abbatté con uno schianto. L’energumeno si massaggiò appena la gamba, sorridendo soddisfatto della propria forza. Il gruppetto scese dunque una breve scalinata, trovandosi davanti una sala pressoché vuota, con l’unica eccezione di un piedistallo di roccia in cui era incastrata una lastra di cristallo leggermente illuminata. Facendosi avanti con aria indagatrice, Yiren disse al ragazzo:
– Tu, pazzoide, dici di essere un esperto di artefatti. Sai cos’è questo?
– No, mia signora, ma posso appurarlo subito. La cosa mi varrà una cena insieme?
– Ti faccio una controfferta: scopri cos’è e se vale qualcosa, e io in cambio evito di farti a pezzi. – replicò lei senza sorridere.
– Mi sembra un buon affare. – rispose lui a sua volta, guardandola con aria trasognata – Al lavoro!

Continua nel capitolo 13, dove…

1. Vejen indaga sullo strano macchinario, il cui scopo è:

nuovalon062Sorvegliare il sonno dei suoi creatori.
nuovalon063Custodire il sapere dei suoi creatori.
nuovalon064Perduto nel tempo.
nuovalon065Proteggere le ricchezze dei suoi creatori.

2. Durante la loro escursione nella città fluttuante, Vejene Yiren troveranno:

nuovalon062Guai!
nuovalon063Risorse.
nuovalon064Nuovi misteri.
nuovalon065Informazioni.

3. Intanto, sulla Tagliacuori…

nuovalon062Negato ha un confronto con Hereza.
nuovalon063Orrec prova a contribuire.
nuovalon064Un pericolo improvviso!
nuovalon065Non accade nulla di notevole, restiamo focalizzati su Vejen e Yiren.

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