Cani sotto zero. 8 amici da salvare (Frank Marshall – 2006).

In una base operativa in Antartide Jerry (Paul Walker) è una guida e deve scortare, con la sua muta di 8 cani (6 Siberian Husky e 2 Alaskan Malamute), un geologo americano (Bruce Greenwood) alla ricerca di un meteorite. L’inverno è alle porte e la missione dovrebbe essere annullata, sotto la spinta dello scienziato però la guida prosegue. Le cosa vanno male e, in più di un’occasione, sono i cani a salvare i due uomini dal peggio. All’arrivo al campo base però il tempo peggiora ancora e la troupe deve evacuare lasciando i cani soli al loro destino.
Jerry però non riesce a dimenticare e fa di tutto per tornare a cercare i cani, anche se non crede di poterli ritrovare vivi dopo quasi 200 giorni…

Il film è ispirato ad un fatto realmente accaduto negli anni 50 ed il regista si rifà ad “Antartica” di Koreyoshi Kurahara del 1983, dove appunto un gruppo di scienziati giapponesi sono costretti a lasciare al Polo Sud una muta di cani da slitta, costringendoli così a dover combattere col freddo clima di quel posto totalmente soli.
Il film si svolge contemporaneamente in 2 luoghi, la parte più interessante in Antartide dove i cani con molti sotterfugi riescono a sciogliersi dalle catene e a procurarsi il minimo per la sopravvivenza, bellissima l’aurora polare (in questo caso però è boreale perché il film è stato girato fra Norvegia, Groenlandia e Canada), piena di suspance anche la scena nella quale Max (il cucciolo della muta) trova un’orca arenata, il che significa cibo e sussistenza per molto tempo (anche perchè a 50 sotto zero la carne si mantiene bene!), e dalla cavità addominale del cetaceo esce una foca leopardo, “più leopardo che foca”…

A migliaia di km di distanza Jerry non si dà pace, cerca in tutti i modi di trovare i fondi per una spedizione di salvataggio, ma purtroppo solo per lui i cani hanno valore, neanche il geologo, reduce dalla gloria del ritrovamento della pietra extraterrestre, sembra essere interessato ai cani che più volte lo hanno salvato de morte sicura…
L’insolenza dell’uomo e la sua non riconoscenza alla natura ed agli animali che danno tutto è sempre presente, di solito più nella realtà che nei film, il film forse può significare poco per quelli che non amano gli animali, potrebbe essere considerato anche solo come uno dei più noiosi documentari della National Geographic.

Io sogno da tempo di possedere una mia muta di cani, e di poter vagare per giorni fra foreste ed altipiani innevati, il film mi ha fatto rizzare la pelle e brividi salivano per la colonna vertebrale praticamente in continuazione. Da quando “sono diventato grande” ho pianto una sola volta, quando presi il mio Samo in canile, ma l’altra sera stavo per farlo di nuovo, forse quello che mi ha trattenuto era il fatto di essere in una sala cinematografica, ma se fossi stato solo…
Forse non si deve considerare questo film come altri della Walt Disney (che io odio), non bisogna vederelo perchè gli “husky sono bellissimi”, dei pupazzoni, o una semplice storiella per bambini, bisogna vederlo respirando il vento gelido, facendo entrare in noi qualcosa, non solo la luce riflessa del proiettore…

Non so quanti di voi conoscono quest’emozione: una cosa stupenda quando vado dai miei cuccioloni husky, indipendenti e ribelli, e subito mi saltano addosso mi buttano a terra con loro e fanno a gara a chi deve farmi più coccole… mi scodinzolano e si acciambellano, e mi guardano con i loro occhioni di ghiaccio o colore dell’ambra.
Il freddo dell’Antardide è poco in confronto a quello che c’è nel cuore di molti uomini, ma fortunatamente nel cuore di altri, purtroppo più pochi, c’è più calore che nel centro del Sole, questo calore deve far si che l’uomo non distrugga tutto questo, deve essere questo calore che deve proteggerci quando ci avventureremo a visitare luoghi gelidi…

Pubblicato originariamente su ciao.it il 08/04/2006

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