Eliade – Parte 12

16. La disperazione di Aiace

Mentre Achille inseguiva i suoi nemici, i greci gli tennero dietro come possibile; quando arrivarono, purtroppo per loro, era troppo tardi: egli era già morto. Tuttavia, si impegnarono vigorosamente per recuperarne almeno il corpo: Aiace Telamonio, afferrata una gru da demolizione, tenne a distanza i nemici mentre Ulisse recuperava la salma di Achille. Tornati al proprio accampamento, mentre i troiani si riprendevano dall’ennesima batosta, i generali greci decisero che le armi divine di Achille sarebbero dovute andare al combattente più valoroso; subito si scatenò una disputa tra Aiace e Ulisse: – Io ho ucciso troiani a gruppi di sei per volta! – urlò inferocito il colosso. – Sì, ma le mie tattiche ci hanno fatto campare fino a oggi! – replicò Odisseo. – Ah! Ma io sono più alto! – Ma io sono più maschio! – Strano, tua mamma diceva il contrario ieri notte! Stavano per venire alle mani, mentre Agamennone non sapeva cosa scegliere, quando intervenne Nestore che risolse la cosa in modo saggio ed equilibrato: tirò una monetina, la quale assegnò la vittoria al re di Itaca.

Agamennone e Menelao accettarono la cosa, ma Aiace la prese a male. Ma veramente male. No ma cioè, non avete idea di quanto la prese male. Io non ne capisco il perché; ok, erano delle belle armi, quello che sia, ma insomma. Mah. Fatto sta che la prese ma così male, ma così male, che impazzì temporaneamente che gli venne un raptus di follia omicida e decise di massacrare chi gli aveva negato i giocattoli nuovi; per fortuna dei greci, tuttavia, Aiace aveva perso talmente tanto la bussola da convincersi che due montoni di passaggio fossero Agamennone e Menelao e li aggredì, macellandoli in un tripudio di sangue e budella. Quando si riprese e si rese conto di aver ucciso due animali innocenti, Aiace impazzì di dolore e si suicidò. No, ok, ferma tutto. No, niente, ho controllato, il mito è proprio così. Impazzì perché… aveva ucciso due pecore. E si suicidò. Uhm. Probabilmente era un animalista convinto, non so. Comunque, si ammazzò e così i greci persero anche l’unico eroe la cui forza poteva sostituire quella di Achille. A questo punto, si resero conto gli achei sempre più avviliti, l’unica speranza per vincere sarebbe stato un miracolo! Meno male che vivevano in un’epoca straripante di cose magiche.
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17. Le profezie di Eleno

Agamennone era ormai disperato: i troiani erano feriti e stanchi e non avevano più Ettore, vero, ma i greci avevano perso Achille e Aiace, mentre i loro nemici avevano ancora il vantaggio delle mura e di altri alleati in procinto di arrivare. Come fare? Chiese consiglio a Ulisse, che suggerì di rivolgersi di nuovo al potente e ambiguo Calcante, il veggente che tutto sapeva; così, andarono da lui e gli chiesero un oracolo. Calcante ci pensò su, consultò la sua palla di vetro e già che c’era gli fece l’oroscopo: – Ascoltatemi, prodi achei! I miei poteri superiori mi dicono che, per conquistare Ilio, dovrete fare quanto segue: innanzitutto, Troia non cadrà fino a che non impiegherete in battaglia i magici arco e frecce di Eracle! Poi, quando le frecce magiche avranno fatto il loro lavoro, dovrete trovare Eleno, fratello di Paride: lui vi saprà rivelare le TRE cose da fare per vincere questa guerra! Inoltre, Ulisse, vedo nel tuo futuro che, quando partirai da qui per tornare a casa… Ma Agamennone lo interruppe, lamentando che ogni minuto di preveggenza gli costava una fortuna in oro e i due se ne andarono. Le frecce e l’arco di Eracle le aveva con se Filottete, vi ricordate di lui? Erano passati degli anni che proprio Ulisse lo aveva abbandonato sull’isola di Lemno; così, presa una nave, questi andò a riprenderlo. Inizialmente Filottete si mostrò un po’ ostile – si dice che ci vollero una dozzina di soldati per tenerlo e impedire che trasformasse Ulisse in una frittella – ma lo si riuscì a calmare, convincendolo a tornare al fronte. Così, Filottete arrivò finalmente a Troia impugnando le leggendarie armi di Eracle e subito ne fece un uso magistrale: al primo scontro con i troiani, fece una mezza strage ma, soprattutto, centrò in pieno Paride; il poveretto venne portato, moribondo, a Troia; sul letto di morte chiamò a sé Elena e le disse: – Oh, more mio, sto morendo… tu mi sarai fedele per sempre? Elena lo guardò, guardò di lato, si grattò la testa, fece una smorfia incerta e disse: – Eh? – Sì, insomma, amore mio, io per te ho fatto scoppiare questa guerra… tu resterai per sempre fedele alla mia memoria? Non sposerai certo un altro uomo, no? Ed Elena guardò nel vuoto, fece spallucce e rispose: – Oh, Paride, non temere, io… uhm… ti sarò fedele, fedelissima, guardatisaròfedelecomelosonostataconMenelaomapoioddiosecapitaunaltrouomo insommailmondoècrudelenonpuoiaspettarticheunadonnadasolaehcapiscinomaio tiricorderòsempreperò oh per gli dei come si è fatto tardi! Scappò via, e Paride spirò nell’incertezza. Morto Paride, il letto di Elena non fece in tempo a freddarsi che due fratelli del principe, Eleno e Deifobo, si precipitarono da lei chiedendole la mano. Elena ci pensò su, controllò i loro conti in banca e subito scelse Deifobo. Eleno, incazzato a morte – non per nulla, ma l’idea di formare una coppia Eleno & Elena gli era piaciuta troppo – sbatté i piedi a terra e lasciò Troia indispettito, andando a farsi una passeggiata sul monte Ida. Ulisse, che da tempo spiava da lontano Eleno per via della profezia di Calcante, lo vide solo soletto e subito gli tese un agguato; lo catturò e lo portò nel campo acheo; il ragazzo era talmente pieno di risentimento, che bastò poco per corromperlo e fargli sputare fuori le informazioni che i greci cercavano. – Volte conquistare Troia? Ah! Tenetevela, quella città ingrata! Dovrete fare tre cose… La prima missione da portare a termine fu di recuperare l’osso della spalla di Pelope; costui era un importantissimo eroe, la cui storia qui e ora poco ci importa; i greci riuscirono a recuperare l’osso, poi lo persero, poi lo ritrovarono, poi lo persero… insomma, alla fine lo ottennero, e la cosa fu fatta. La seconda richiesta fu di schierare, in campo, Neottolemo; era costui il figlio di Achille! Ebbene sì, Achille aveva avuto un figlio; ricordate quando, da ragazzo, Teti lo nascose a corte del suo amico, re Licomede, travestito da ragazza? Beh, in quel periodo capitò che Deidamia, figlia di Licomede, si accorse che Achille era un maschio, scoprendolo nel modo più ovvio, dando così alla luce un figlio. Ora, Neottolemo era appena un ragazzo, eppure aveva ereditato la forza straordinaria del padre; Ulisse cedette al ragazzo le armi del defunto Achille, scatenandolo sul campo di battaglia, dove si mostrò all’altezza della situazione. Ma ancora non bastava! La terza impresa necessaria alla caduta di Troia, nonché la più difficile, fu quella di trafugare il Palladio; era, questo, un talismano sacro, appartenente ad Atena, che proteggeva la città fin dalla sua fondazione e, fino a che restava nelle mura troiane, le avrebbe protette eternamente. Ulisse, così, si travestì da mendicante e, insieme a Diomede, penetrò nella città. Durante la ricerca, incontrò Elena, che lo riconobbe; anziché dare l’allarme, tuttavia, la donna gli rivelò che, guardando le cose in retrospettiva, iniziava a riconsiderare le sue scelte e che forse tornare con Menelao non sarebbe stata una cattiva idea. Non potendo fuggire con Ulisse direttamente, l’amabile donna lo aiutò a trafugare il Palladio, condannando così a morte certa il popolo che per dieci anni si era fatto massacrare in sua difesa. Che persona adorabile, eh? Insomma, Ulisse fuggì con il Palladio, tornò all’accampamento, e tutte e tre le richieste di Eleno furono soddisfatte: ora Troia non godeva più della protezione mistica che l’aveva difesa tanto a lungo. – Va bene, – disse Agamennone, mentre Ulisse veniva festeggiato – non hanno più il Palladio, non hanno più Ettore, gli dei non possono più proteggerla e, grazie a Neottolemo, anche gli ultimi rinforzi sono stati sgominati. Ma rimane ancora una questione: LE LORO MALEDETTE MURA? Come facciamo con quelle? Ulisse ci pensò su: la questione non era semplice. Occorreva un’idea geniale, un piano brillante. Un greco di nome Prilide, in tono lamentoso, disse: – Se solo riuscissimo a mandare un drappello dentro la città, saremmo a cavallo… E Ulisse sorrise.

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18. Il peggior regalo di sempre

Facciamo il punto della situazione. La guerra durava ormai da dieci anni; i greci erano stremati, demotivati, avviliti e volevano tornare a casa, dalle loro famiglie. Ormai di Elena non importava fondamentalmente più niente a nessuno, e anche i piani di guadagno e conquista erano ormai vaghi e inconsi-stenti. A questo punto della storia, ci si rese conto, vi erano solo due opzioni: vincere o ritirarsi definitivamente. Per questo, Ulisse diede fondo al suo ingegno per pianificare la mossa finale: se avesse avuto successo, Troia sarebbe caduta; in caso contrario, sarebbe stata comunque la fine della guerra. Ulisse spiegò il piano ad Agamennone – dovette spiegarglielo due volte per farglielo capire bene – quindi, con il suo consenso, si procedette. Per prima cosa, mettendo a capo del lavoro Epeo, che era, tra i greci, il più abile artiere e il più vigliacco tra i guerrieri, venne costruito un immenso cavallo di legno; Ulisse diede due specifiche indispensabili, necessarie al suo piano: innanzitutto, la pancia del cavallo doveva essere cava, per poter ospitare un drappello di uomini; inoltre, il cavallo doveva essere necessariamente più alto delle porte di Troia, tanto da non potervi passare normalmente. Certo, questa seconda scelta parve piuttosto insensata, soprattutto ad Agamennone, ma anche questo faceva parte del piano. Intanto che il cavallo veniva costruito, la quasi totalità dell’esercito si imbarcò e partì, andandosi a nascondere sulla vicina isola di Tenedo; rimasero, sulla costa troiana, solo Ulisse, Menelao, Epeo e una ventina d’altri. Tra questi, vi era Sinone, cugino dello stesso Ulisse; il re di Itaca ebbe cura di istruire attentamente Sinone, che era furbo (leggi: infido) almeno quanto lui, spiegandogli ciò che avrebbe dovuto fare e dire quando il cavallo fosse stato completo. Costruire il cavallo non fu facile, per via di tutto il materiale necessario, ma per fortuna Agamennone ebbe una brillante idea, e insieme a Ulisse fece una scappata ai vicini magazzini di AKEA, una nota catena ellenica di mobili, utensili e fai da te, trovando tutto l’occorrente. Quando infine il cavallo fu terminato, al suo interno presero posto Ulisse, Menelao, alcuni eroi a caso e lo stesso Epeo, benché dovettero trascinarlo di peso: il poveretto era claustrofobico e Ulisse dovette stordirlo a colpi di clava per farlo stare quieto. Sinone, intanto, si andò a rotolare nelle vicine paludi e attese. L’indomani, i troiani, notarono la mancanza di attività achea; incuriositi, andarono a indagare e ovviamente, trovando il campo deserto a parte la gigantesca statua di legno, rimasero perplessi. Ben presto si formò una folla guidata da Priamo in persona, per cercare di capire cosa fosse accaduto; notarono quindi che sul fianco dell’animale era incisa una scritta: “Ad Atena, con affetto, gli achei” e si aprì una feroce disputa su cosa fare. Immediatamente accorse sul posto Cassandra: la profetessa arrivò correndo e urlando come una forsennata: – Bruciatelo! Distruggetelo! È una trappola! Ci ammazzeranno tutti! Mille miliardi di greci sbucheranno dalla bestia e MORIREMO TUTTI! Ovviamente, i troiani si guardarono tra loro imbarazzati e, grazie alla maledizione di Apollo, decisero che la statua non era niente male e che tenerla forse sarebbe stata una buona idea. Intanto un drappello di soldati aveva trovato Sinone nella palude, e lo trascinarono da Priamo, che lo interrogò; il greco, ben addestrato da Ulisse, si finse arrabbiato e amareggiato con il cugino, raccontando una storia ben congegnata: – Oh, potente Priamo, mio cugino è gran bastardo! Vedi, in questi anni di guerra quel manigoldo aveva trafficato con i libri contabili, e aveva approfittato della situazione per arricchirsi: rimborsi spese gonfiati, spese pazze a carico dei contribuenti, mercato nero, corruzione, peculato, traffico di stupefacenti, appropriazione indebita, divieto di sosta… e insomma, io lo avevo scoperto, ed ero pronto a denunciarlo ad Agamennone, ma lui mi ha scoperto. Mi voleva morto, e sono vivo per miracolo! – Sì, vabbè – disse Priamo, incerto – ma dov’è adesso? Dove sono tutti gli achei? – Ah, maestà, il fatto è che si sono resi conto che non aveva più senso restare: eravamo sfiancati, sfiduciati e stanchi, e qualcuno si è accorto che avevamo completamente finito le nostre scorte di carta igienica; non c’era altra scelta che ritirarsi. Proprio con questa scusa Ulisse voleva farmi fuori: aveva convinto tutti che avrebbero dovuto sacrificarmi agli dei per garantirsi un favorevole viaggio di ritorno; mi sono salvato solo perché, proprio quando stavano per farmi a pezzi, si sono accorti che il grattino orario delle navi era scaduto e se fossero rimasti altri cinque minuti, avrebbero dovuto pagare per altri dieci anni di parcheggio, così sono corsi via! – E questo spiega perché non c’è nessuno e perché tu sia pieno di rancore verso di loro, e di conseguenza così collaborativo con noi. – concluse meditabondo Priamo – Mi pare molto ragionevole e spiega ogni cosa. Certo, se fossi malizioso potrei pensare che è una coincidenza fin troppo grossa, ma ehi, sono un antico troiano, è stato già chiarito che se vedessimo un uomo tirar fuori un coniglio da un cilindro lo considereremmo un dio. Bene, Sinone, mi hai convinto… ma il cavallo? Cosa significa? – Oh, mio re, è presto detto: ricorderai che quella carogna di mio cugino ha trafugato (ah meschino!) il Palladio troiano; a quanto pare, Atena si è molto arrabbiata per questa profanazione, e il Palladio ha preso fuoco, fatto scintille, emesso fetore e prodotto musica napoletana a tutto volume: Calcante, il veggente, ha capito che la dea andava placata e, per farlo, le abbiamo eretto questa scultura. E avrai notato quanto è alto: tanto che non passerebbe, normalmente, per le porte di Troia: ciò è stato fatto perché, o re, sempre Calcante ha detto che se il cavallo venisse portato dentro la città, Troia verrebbe benedetta dalla volontà di Atena; ha anche detto, sappilo, che se venisse, non so, bruciato o che, allora Atena invece si arrabbierebbe tantissimo, distruggendo l’intero popolo troiano. Priamo fu convinto e stava per dare ordine di portare il cavallo a Troia, quando accorse, infervorato, il saggio troiano Laocoonte, che si mise a urlare: – Ma no, mio re, cosa fai? Non capisci che è una trappola di Ulisse? Andiamo, è evidente che… Ma proprio mentre parlava, gli dei intervennero: Zeus si era ormai rotto le scatole della faccenda e voleva darci un taglio, quindi diede ordine ad Apollo di sistemare la faccenda; il dio, accortosi che Laocoonte stava per mandare a monte tutto, provvide a farlo tacere: dal mare emerse Godzilla, che divorò i figli di Laocoonte (che passavano di lì per caso) e poi disintegrò il vecchio saggio con un raggio laser, per poi andare a distruggere qualche città poco lontana. Appena il mostro si allontanò, i troiani si guardarono intorno spaventati, e improvvisamente decisero che il cavallo era bellissimo. Così, i troiani portarono il cavallo, carico di greci, dentro le mura; per farlo passare dalle porte passare dovettero distruggere una parte della fortificazione, quindi, conclusa l’operazione, si lasciarono andare a feste e bagordi, convinti che finalmente la guerra fosse finita. Scese quindi la notte, i troiani dormivano profondamente, sereni e ubriachi, quando un fianco del cavallo si aprì e ne uscirono Ulisse e i suoi. Poco ci volle per costoro ad aprire le porte e far entrare l’intero esercito acheo che, intanto, si era portato nei pressi della città, camminando in punta di piedi. Così, i greci finalmente invasero Troia, e dopo tanto soffrire, l’antica e grandiosa città cadde.

EPILOGO

Grazie allo stratagemma del cavallo, i greci invasero la città, mettendola letteralmente a ferro e fuoco; i valorosi achei, eroici e gloriosi, punto di riferimento per la cultura occidentale, ebbero così occasione di dimostrare il loro valore e il loro onore. Per prima cosa, tutti gli uomini vennero passati a fil di spada, senza risparmiare nessuno e senza nessun ritegno per l’età: dai neonati più piccoli ai vecchi più decrepiti, vennero sterminati instancabilmente; in questa operazione, a dimostrare che i frutti non cadono lontano dall’albero, Neottolemo volle dimostrarsi all’altezza di suo padre Achille: inseguì Priamo e sua moglie, e riuscì, grazie alla sua forza superiore, a fare a pezzi due vecchietti che imploravano pietà piangendo; poi, pensando che forse non aveva mostrato di essere abbastanza forte, affrontò in duello anche Astianatte, il figlio di Ettore, un bambino di due anni. Con grande coraggio e determinazione, Neottolemo riuscì a sottomettere il bambino, scagliandolo giù dalle mura della città. Che dire, tale padre… Intanto, nonostante i troiani opponessero resistenza, continuò il massacro e iniziò il cosiddetto “concubinaggio”. In sostanza, i greci, nella foga della battaglia, fecero la corte in modo estremamente invadente alle femmine troiane che incontravano, anche qui senza preoccuparsi molto per età, ceto sociale o altro, dimostrandosi grandi precursori di grandi principi democratici. Tra questi, uno che si distinse fu Aiace Oileo, l’Aiace-non-tanto-grande (anche perché quello grande, ricorderete, si era suicidato): il piccolo Aiace infatti decise di corteggiare Cassandra, inseguendo la poveretta fino al santuario di Atena; qui la sacerdotessa si aggrappò disperatamente alla statua della dea, ma la dea stessa era impegnata dal parrucchiere e non poté salvarla. Aiace, tuttavia, fu guardato con biasimo dai suoi compagni: assalire le donne era una cosa, ma farlo nel tempio di Atena! Ma insomma, che modi! Ulisse, indignato e disgustato, incitò i compagni a lapidarlo, ma uscì fuori che il greco aveva un buon avvocato e se la cavò con una multa e poco più. Avanzando nel saccheggio, Menelao giunse infine al palazzo reale, e finalmente, dopo tante peripezie, si ritrovò faccia a faccia con Elena, la causa del conflitto! Marito e moglie, separati da dieci, lunghi anni, si ritrovarono l’uno di fronte all’altro, mentre la città bruciava. Menelao, paonazzo e cocente di rabbia urlò: – Ah! Donnaccia! Mi hai tradito e abbandonato, ma ora rimedierò con onore: come qualsiasi uomo per bene farebbe, ti strangolerò con le mie stesse mani! Elena però gli fece gli occhi da cerbiatta e disse: – Oh, tesoro, ma mi dispiace tanto! È stato solo un malinteso! Dai che non lo faccio più! E gli sorrise. Come abbiamo detto, Menelao non era molto bravo a tenere il broncio; fece un gran sospiro, sollevò le spalle e disse: – Beh, penso che l’importante sia che tu abbia imparato la lezione. Se non lo fai più, va bene. In fondo, quale coppia non passa un po’ di crisi? E va bene, vieni: tornerai con me a regnare su Sparta, come se niente fosse stato! E felici e contenti, almeno loro due, se ne andarono per le strade scivolose di sangue e illuminate dalle case incendiate, per tornare a casa a farsi le coccole. Nel frattempo, il massacro continuava; tuttavia, riuscirono a salvarsi: a guidare i superstiti fu Enea, ultimo grande eroe troiano rimasto in vita; costui riuscì a scappare insieme al padre e alcuni altri compagni, fuggendo su delle navi veloci, scampandola per un pelo. Il troiano allora non lo sapeva, ma la sua partenza sarebbe stata poi l’inizio di incredibili eventi, ma questa è un’altra storia. Insomma, dopo la frenesia del combattimento, Troia era bruciata e distrutta, e le sue ricchezze saccheggiate. Il bottino fu diviso tra i greci, incluse le donne (ora schiave); tra le tante, Cassandra venne presa da Agamennone (che avendo le scatole piene di Calcante e dei suoi modi boriosi, voleva una veggente personale); Neottolemo, da parte sua, trovò appropriato fare schiava Andromaca, la vedova di Ettore: tra lui e suo padre le avevano tolto ogni cosa, quindi perché non aggiungere la sua libertà all’elenco? Alla fine dei giochi, Agamennone si fece due conti. – Come siamo messi? – chiese Ulisse, dietro di lui. Agamennone considerò le spese di guerra degli ultimi dieci anni, le spese preventivate per il rientro a casa, il costo di mantenimento degli schiavi, le tasse, l’IMU, il canone RAI, varie ed eventuali, e gli risultò che in sostanza l’esercito acheo era in attivo di abbastanza soldi da pagarsi una cena e un gelato. “Poteva andare peggio”, si disse. Così, calmati gli spiriti, i greci tornarono alle loro navi, caricarono borse e bagagli, e partirono; per molti di loro il ritorno non fu facile: durante il sacco della città, i sacrilegi e gli atti blasfemi dei greci si erano sprecati e gli dei dissero “Ma come? Noi li abbiamo aiutati fino all’ultimo e loro ci ringraziano così? Ah, disgraziati!” e iniziò la loro vendetta. Nestore, che di tutti i greci era stato il più moderato, saggio e avveduto, e non aveva praticamente preso parte al saccheggio, ricevette un bonus “esci gratis dalla furia degli dei”: tornò a casa indenne e senza molte storie da raccontare, beato lui. Aiace il piccolo, che era stato uno dei più disgraziati: per tutto ciò che aveva fatto, la sua nave fu distrutta, lui venne affogato e il suo account di face book hackerato. Per quanto riguarda Ulisse, poi, l’ira degli dei si fece particolarmente accanita: il furbo eroe aveva le mani talmente tanto sporche, che il suo ritorno a casa fu un capolavoro di ostacoli, incidenti, imprevisti, turbolenze, combattimenti e casini vari, tanto che ne venne fuori un’altra intera opera epica. E così, mentre Odisseo iniziava il suo disperato viaggio verso casa, e il fumo si alzava dalle rovine bruciate della gloriosa Ilio, terminò una delle più grandi, epiche guerre della storia. Una guerra di gloria, mito, eroismo e leggenda. O, più realisticamente, una guerra di idiozia, di paura, di vigliaccheria, di ingordigia, di meschinità, di infingardaggine, di cieca violenza, di umana stupidità, di inutili vanaglorie e di brutale prepotenza. Insomma, una qualsiasi guerra.

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