Eliade – Parte 3

7. Inizia finalmente ‘sta guerra.. o no?

Paride ed Elena arrivarono a Troia in fretta e senza difficoltà; una volta arrivati a corte, Priamo e famiglia furono un po’ sorpresi di trovarsi tra i piedi l’ospite bella ma inaspettata. Subito, qualcuno suggerì che forse era stata una mossa un poco avventata quella di rapire la moglie di un potentissimo re greco, fratello del generale supremo della coalizione degli achei (che poi sarebbero, appunto, i greci).

Tuttavia Priamo, che era un bel po’ orgoglioso, non volle sentire ragioni: quello che suo figlio aveva fatto ormai era fatto; se voleva la bella Elena, la bella Elena avrebbe avuto. E magari anche un cagnolino già che c’erano. Se il piccolo Paride avesse fatto gli occhi dolci, forse, a quel punto, avrebbe avuto anche un modellino ferroviario completo di accessori.
Il re aveva parlato; i troiani si chetarono e Ettore scrollò le spalle: era da quasi una settimana che non uccideva, e aveva paura di arrugginirsi. Se i greci avessero fatto qualcosa, a lui sarebbe andato benissimo.
In Grecia, intanto, Menelao, come detto, corse piangendo dal suo fratellone.
Andiamo ora a osservare Agamennone, re di Micene e fratellone di Menelao.
Menelao era alto il doppio di Agamennone, pesava il triplo e sollevava il quadruplo.
Agamennone, da parte sua, aveva una tale forza di volontà che poteva fissare una montagna fino a che quella avesse strizzato gli occhi; era così ambizioso che quando passava lui gli altri re si tenevano strette le corone; era tanto crudele che quando torturava un prigioniero, si registrava l’audio in formato MP3 e se lo risentiva la notte per conciliare il sonno. E soprattutto, era un feroce, carismatico, abile e furbissimo figlio di, ehm, Micene. E questo bastava a avanzava a renderlo l’indiscusso leader di una quantità imbarazzante di re e principi greci.
Quando Menelao dunque giunse piagnucolando, Agamennone, dopo avergli rifilato due schiaffoni da far tremare le finestre, ascoltò tutto il racconto del fratellino.
Menelao, da parte sua, volle più che altro sfogarsi; quando infatti Agamennone iniziò a parlare di guerra, il nostro eroe bonaccione rispose:
– Ma fratello, avanti, una guerra! In fondo, se Elena ha preferito lui a me, forse dovremmo lasciar stare.. e poi Paride non è un cattivo ragazzo, magari domani mi chiede scusa! E poi le guerre sono pericolose, ci si può far male!
Agamennone, diede altri due schiaffi al fratello, togliendogli i denti del giudizio, e si mise in azione: in quattro e quattro sei (i greci non erano matematici eccellenti), radunò lo schieramento quasi completo di tutti i signori a lui sottoposti, iniziando un persuasivo e commovente comizio su quanto i troiani fossero dei bastardi ladri doppiogiochisti e già che si era sull’argomento, di come i loro pedaggi per accedere al mercato asiatico fossero un po’ eccessivi; tutti problemi cui la distruzione completa e indiscriminata della città avrebbe posto soluzione certa.
Agguerriti e determinati, quindi, gli achei si prepararono a partire. Prima di avviarsi, però, Agamennone pensò bene di andare a prendere per le orecchie alcuni dei lavativi che ancora non si erano presentati all’appello.

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8. Come nacque un proverbio

Un sovrano che doveva a tutti i costi partecipare alla spedizione era Ulisse, altrimenti noto come Odisseo, re di Itaca e genio tattico, oltre che subdolo smanaccione di prim’ordine. Il buon Ulisse, che era veramente furbo, non aveva la minima intenzione di andare in guerra: per questo, si finse pazzo. Per dimostrarlo, fece cose assurde: iniziò ad arare la spiaggia, vestì con gli abiti della nonna, elogiò le saghe letterarie sui vampiri glitterosi e sessualmente incerti e arrivò a dire che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro.
Fu così che nacque il proverbiale atto di “fare lo scemo per non andare in guerra”.
Vari emissari di Agamennone andarono da Ulisse ma, di fronte ai suoi gesti, subito scrollarono le spalle e dissero “Eh va beh, a un certo punto se ne vanno anche i migliori”.
Tuttavia, per i progetti di Agamennone, l’assenza di Ulisse era intollerabile: il sovrano di Itaca era osannato e rispettato tra gli altri regnanti greci; si raccontavano su di lui storie eccezionali, come di quando aveva sconfitto da solo venti nemici, o come quella volta che era riuscito a fare Itaca – Atene andata e ritorno su una fiat 500 scassata, e con un solo pieno.
Di Ulisse erano noti la forza e la bravura in battaglia ma, soprattutto, erano noti la sua astuzia e la sua abilità di persuasione: si diceva, di lui, che avrebbe potuto vendere pellicce agli arabi, ghiaccioli agli esquimesi e libri agli italiani (libri veri, non quelli di Fabio Volo).
In sostanza, quindi, Ulisse serviva ad Agamennone per due ragioni: innanzitutto, perché la sua sola presenza avrebbe incoraggiato le truppe. In secondo luogo, perché di tutta quella marmaglia, Ulisse era l’unico che avesse un’idea di “strategia” più elaborata di “insultiamo le loro mamme e poi colpiamoli con delle mazze!”
Per fortuna di Agamennone – e sfortuna di Ulisse – tra i delegati mandati a chiamare il re di Itaca alle armi c’era anche un tale Palamede, re di Eubea; costui era considerato, all’epoca, il secondo più furbo dopo quel furbone di Ulisse e, va aggiunto, tra i due non correva per niente buon sangue: Palamede, infatti, portava rancore a Ulisse da quando questi, alcuni anni prima, gli aveva rubato con l’inganno la ricetta della sua crostata ai mirtilli.
Palamede, dunque, vedendo Ulisse fingersi pazzo, pensò a un espediente per smascherarlo: prese il piccolo Telemaco, il neonato figlio di Ulisse, e lo mise sulla spiaggia che Ulisse stava arando. Odisseo, furbo quanto bastardo, se ne fregò e proseguì (alcune versioni del mito dicono altrimenti, ma sbagliano); il bimbo, per fortuna, si salvò per miracolo, ma riportò una brutta cicatrice e un’inestinguibile paura degli strumenti contadini.
Palamede, allora, elaborò uno stratagemma ancora più ingegnoso: colpì Ulisse alla testa con un mattone, lo fece caricare su una nave e lo trascinò di forza verso la guerra.
I greci erano maestri della tattica.

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9. Achille: storie di mamme troppo prudenti

C’era una volta, un po’ prima degli eventi fin qui narrati, una ninfa – che sono tipo dee ma non proprio, cioè sono immortali ma a parte questo.. cioè, non è che sia chiarissimo, eh – di nome Teti che, dopo una lunga e complicata serie di eventi poco importanti, ebbe un figlio, Achille.
La signora Teti, che era una di quelle mamme che la notte si alzano dodici volte per controllare che il loro piccolino piccino coccolo coccolino della mamma respiri bene, appena le nacque il figlio pensò: “Oh cavolo, questi tempi sono atroci! Guerre appena ti giri, mostri, gli dei che se si svegliano storti ti folgorano!”
Insomma, si rese conto che, per un semidio come, di fatto, Achille era, le aspettative di vita erano nel migliore dei casi turbolente. Per questo, prese una precauzione: afferrato il pargolo per una caviglia lo inzuppò, a uso biscotto, nel fiume Stige, la qual cosa, per ragioni mai chiarite, lo rese invulnerabile. Fatto sta che la signora Teti, in quanto a furbizia, se la disputava con Cassandra: pensò bene di inzuppare il figlio, ma non ebbe la semplice pensata, dopo il primo giro in ammollo, di afferrarlo anche per l’altra caviglia, rendendolo invulnerabile ovunque; per questa fatale distrazione, Achille era invulnerabile in ogni punto del corpo, tranne che sul tallone per il quale era stato tenuto.
Fermo restando che inzuppare un bambino tenendolo per un tallone è da genitori scriteriati, la signora pensò che questo non fosse ancora sufficiente.
Quando Achille era ancora un bambino, infatti, una zingara al circo gli fece una lettura della mano e disse:
– Bello mio, tu hai due possibilità! Puoi vivere sicuro, sereno e tranquillo, farti una vita lunga, moglie, figli, abbonamento sky, internet illimitato, macchina, assicurazione, pure una domestica magari, e stare con le mani sulla pancia. Oppure, puoi diventare un eroe: ucciderai un bel po’ di gente, vivrai un fulgido momento di gloria e vivrai osannato e circondato di belle donne, ma poi MORIRAI IN MODO ATROCE, ORRENDO, CIRCONDATO DALLA MORTE E DAL TERRORE, SPROFONDANDO IN UN ABISSO DI DOLORE E ANGOSCIA, NEL QUALE TRASCINERAI LEGIONI DI INNOCENTI, BRUCIANDO IN UN FARO DI DISPERAZIONE, SOMMERSO DAI FIUMI DI LACRIME DEGLI INFERI!
Achille, che aveva un grosso problema di soglia dell’attenzione, si era distratto e aveva sentito solo “belle donne”, quindi disse, senza esitazioni, che sceglieva la seconda opzione.
La signora Teti, sempre apprensiva, andò ancora più in paranoia.
Qualche anno dopo, Achille era un adolescente quando Paride rapì Elena; a quel tempo, il ragazzo era già il simpatico personaggio che tutti conosciamo: combattente impareggiabile, fortissimo, ardito e coraggioso.
Ma soprattutto, era un borioso narcisista, vanitoso e superficiale, capriccioso e volubile, dotato del tatto di un martello pneumatico e di ancor meno sensibilità, altruismo ed empatia. Approfittava di ogni occasione per mostrare la sua abilità nel combattere, spesso bulleggiando i compagni di gioco più piccoli e deboli; si divertiva poi a fare lo spavaldo affrontando prove incredibilmente stupide e pericolose: afferrava giavellotti con i denti, piegava chiodi a pugni, faceva le flessioni sui vetri rotti. E poi tornava a picchiare i più piccoli e deboli.
Data la crescente notorietà del figlio, la signora Teti intuì subito che qualche ficcanaso avrebbe cercato di includerlo nell’attacco a Troia; per questo, corse ai ripari: portò il giovane Achille al palazzo di un re suo amico, lo vestì da ragazzina e lo nascose in mezzo alle figlie del re.
Di lì a poco tempo, un veggente di quelli che non si fanno mai i fatti propri, pronosticò ad Agamennone e ai suoi generali che se non avessero avuto Achille sul campo, Troia non sarebbe mai caduta. Subito, Agamennone mandò a cercare Achille, ma del ragazzo nessuna traccia; Ulisse, che aveva avuto tempo dalla mattonata in testa e si sentiva di umore nero, si offrì di ritrovarlo e portarlo all’esercito in tempo per lo sbarco: se non poteva starsen tranquillo a casa lui, non vedeva ragione per cui potesse qualcun altro!
Ulisse, accompagnato da un paio di amici, si recò quindi alla corte dove Teti e figlio si erano riparati; il furbo Odisseo aveva intuito che se la madre era lì, il figlio doveva essere poco lontano: restava solo da individuarlo!
Certo, ai tempi odierni non sembrerebbe così difficile.
Achille era ancora un adolescente, e indossava abiti da donna, ma era fondamentalmente un pilastro di muscoli al cui confronto He-Man sarebbe sembrato un ballerino di danza classica. Ma dobbiamo ricordare, ancora una volta, che i greci non erano proprio da prendere come riferimento per l’astuzia.
Ulisse pensò quindi a uno stratagemma: portò tutte le ragazze del palazzo a fare un giro per il più vicino centro commerciale; in quei giorni c’erano i saldi e, quando passarono davanti a un negozio di calzature che vendeva tutto in ribasso, una massa di ragazzette urlanti corsero contro le vetrine come uno sciame di scoiattoli sotto epinefrina; una sola figura restò annoiata in disparte, e così Achille fu scoperto.
Ulisse, soddisfatto, arraffò il ragazzo e insieme ai suoi compari lo portò a bordo, pronti a partire, e Teti non poté più far niente.
Va detto, per la cronaca, che Achille non rimase tanto insoddisfatto della cosa: a palazzo non c’era molto da menare le mani e, come vedremo, Achille, se non picchiava a sangue almeno un paio di persone al giorno, diventava intrattabile; inoltre, era un borioso ammasso di muscoli e vanagloria e per lui andare in guerra era l’occasione giusta per far vedere quanto era figo. Tanto era invulnerabile (a parte che al tallone), cosa poteva mai succedergli (a parte esser colpito al tallone)?
Va poi aggiunto, tanto per capire bene gli eventi a seguire, che la permanenza a corte di Achille confuse le sue idee sulle interazioni uomo donna. Di fatto il grande guerriero sviluppò una sessualità piuttosto confusa: gli andava bene chiunque, purché soddisfacesse il suo sconfinato ego. Per queste ragioni fu più volte trovato in atteggiamenti equivoci con specchi e altre superfici riflettenti.

Raccolto Achille, le truppe greche partirono.
E iniziò l’assedio di Troia.
Doveva essere una guerra lampo, una botta e via.
Entriamo, prendiamo Elena e torniamo a casa, dissero.
Durò dieci anni.

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