L’Eliade – Una storia epica!

Nota dell’autore

Questa opera non è e non vuole essere un tema scolastico, didattico o in alcun modo legato al mondo accademico.
Nasce a puro scopo di intrattenimento umoristico: è solo ispirata alla saga epica dell’Iliade e di tutto ciò che la precede e la segue; pur parodiandola, non ne segue pedissequamente la struttura, né gli eventi.
I fatti qui raccontati non sono un fedele adattamento di Omero.

Lo specifico con tanta chiarezza qui e ora per evitare due conseguenze, tanto diverse quanto egualmente spiacevoli; la prima, che ragazzi fin troppo ingenui – e ce ne sono, lo sappiamo – possano credere che, pur se in chiave ironica, questo testo sia una riproduzione coerente dell’opera classica e finiscano per usarlo come riferimento scolastico. Ragazzi, NO! Io non ho nemmeno fatto il liceo classico, accidenti!
Il secondo rischio, per me forse anche più irritante, è che qualche furbone venga a dirmi “Ehi, ma che hai combinato? Guarda che hai sbagliato questa parentela! E qui, nell’originale, è l’altro che muore! E poi cavolo, hai mischiato questi due eventi, ma che combini?”
A costoro voglio dire: sì, esatto, ne sapete certamente più di me, avete letto l’Iliade, avete letto l’Odissea e probabilmente anche l’Eneide già che c’eravate, ma non mi interessa.
Perché, tanto per chiarirci, l’Eliade nasce così:
In una sera d’agosto di mille troppi anni fa, al mare, io e un mio amico, annoiati e mezzi ebbri di limoncello, non sapevamo cosa fare per ingannare il tedio. Allora, ho iniziato a raccontargli le gesta della guerra di Troia “secondo me”.
Tutto qui.
La storia di un ventenne vagamente brillo.
E ora, spero che leggerete con spirito leggero e, se possibile, vi divertiate.

Parte prima
Antefatto alla guerra

Ai greci le cose piacevano complicate.
Le loro storie, in un modo o nell’altro, sono sempre intrecciate, per cui raccontarne una significa attaccare dando per scontato che si conosca l’antefatto.
Ma io non farò questo errore!
Ben sapendo che la gente è fondamentalmente ignorante, io spiegherò l’antefatto!
Non proprio tutto; per farlo probabilmente dovrei risalire alla creazione del mondo secondo i greci. Ma comincerò..
Da un sogno premonitore!
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1. La profetessa sfigata

Tutto ebbe inizio a Troia, magnifica città, antica e potente, la cui gloria ne rese immortale il nome. Ancora oggi, infatti, tale nome è sulla bocca di molte persone, e quotidianamente viene ribadito in una moltitudine di circostanze.
Il re di Troia, Priamo, era un uomo molto energico e vigoroso, frustrato dalla mancanza, a quel tempo, dell’invenzione del televisore. Questi due fatti, uniti alla cultura dell’epoca che permetteva di tenere a corte moglie e varie concubine, contribuì a renderlo padre di una cinquantina di figli e figlie. Non si è mai capito se in totale o cinquanta per genere.
Fatto sta che una delle sue figlie maggiori, Cassandra, fu l’unica a intuire tutta la serie di orribili eventi che si stavano per verificare ma, per una brutta faccenda che le accadde, nessuno le diede retta.
Fatto sta che Cassandra, quando era giovane e bella, ebbe un flirt con il dio Apollo. All’epoca era normale, eh: gli dei salivano e scendevano così spesso dall’Olimpo che Zeus aveva pensato bene di installare una porta girevole. Apollo e Cassandra, insomma, se la spassavano, godendo dei piaceri della giovinezza. Beh, almeno di quella di lei. Un brutto giorno, però, tra i due scoppiò una furiosa lite: Cassandra infatti aveva scoperto, con orrore, che Apollo, trasformandosi nell’ordine in un papero, in un tulipano, in un ferro da stiro e in una vignetta satirica, l’aveva tradita con cinque altre ragazze (i conti tornano: in una delle sue forme si occupò di due ragazze in una volta. Ma per cattiveria, non vi dirò in quale!); furibonda, la principessa insultò il dio, lanciandogli addosso biancheria sparsa e minacciando di raccontare in giro di certe sue prestazioni “deludenti”. Apollo, in questa occasione, si rese conto che regalare alla ragazza il dono della veggenza – dono che, appunto, le aveva permesso di scoprire il tradimento – non era stata la sua mossa più saggia; onde evitare dunque che il suo buon nome da latin lover venisse danneggiato, decise di porre rimedio: non poteva riprendersi il dono – le regole divine sono molto severe a proposito – ma ricorse a uno stratagemma.
Sputò in bocca alla ragazza. Il gesto, oltre a mostrare il poco spirito cavalleresco del dio, maledisse la principessa: da quel momento, lei sarebbe stata in grado di prevedere gli eventi e di vedere oltre gli inganni, ma qualsiasi cosa avesse detto, la gente non le avrebbe mai creduto.
Ora, questo fatto dimostra tre cose.
Innanzitutto, dimostra che gli dei greci erano decisamente delle persone molto eleganti, raffinate e rispettose (ma anche no).
In secondo luogo dimostra che Apollo non era un lume di furbizia, dal momento che alla sventurata profetessa sarebbe bastato dire l’opposto di ciò che vedeva, per assicurarsi di essere ascoltata dagli altri.
In terzo luogo, come vedremo più avanti, dimostra come Cassandra, oltre che sfortunata, fosse anche piuttosto stupida, dato che nemmeno lei pensò mai a questa semplice soluzione al suo problema.

2. Un sogno premonitore

Un po’ di tempo dopo la disavventura romantica di Cassandra, suo padre, Re Priamo, passò un’altra notte senza tv, e improvvisamente scoprì di stare per diventare padre per la cinquantesima volta (o per la centesima, all’epoca i genitori erano un po’ distratti e non tenevano tanto a contare i propri figli) grazie a Ecuba, la sua seconda moglie. O la terza? Il re non prestava caso nemmeno al numero di mogli e concubine.
Fatto sta che Cassandra, la stessa notte in cui Ecuba scoprì di essere in stato interessante, ebbe un sogno orribile! Sognò che il suo prossimo fratellino avrebbe portato morte e distruzione a Troia! Nel sogno, dalla partoriente usciva una nidiata di serpenti, e il caos si spargeva ad annientare l’antica città… muri crollati, piazze irrorate di sangue, concerti di rapper canadesi e boy band di adolescenti sessualmente incerti per le strade!
Quando infine il bambino nacque, Cassandra, mostrando l’acume di cui abbiamo accennato, ebbe la brillante idea di riportare al padre la sua visione così come l’aveva avuta.
– Papà, ascolta, ho sognato che tuo figlio porterà alla fine di Troia! Devi ucciderlo subito!
Priamo ci pensò su un momento, quindi optò per la scelta che ogni padre amorevole avrebbe preso. Spedì sua figlia in castigo per non averlo chiamato maestà, poi, capendo che non sarebbe stato giusto macellare suo figlio innocente, si limitò a consegnarlo nelle mani di un postino di passaggio, chiedendogli di affidare a sua volta il pargolo nelle mani di qualche bravo popolano.
Il postino, che era abituato a questo genere di lavori (i troiani non erano notoriamente genitori affidabili) sbolognò il neonato a dei pastori e andò per la sua strada.
Il bambino, che venne chiamato Paride, venne perciò cresciuto come un pastorello ignaro del proprio destino.
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3. La mela della discordia

Passati alcuni anni da questi eventi, capitò che si tenesse, alla corte degli dei, un matrimonio. Anche se è vero che gli dei trovano normalmente ogni scusa per far festa (Nel calendario dell’Olimpo, 368 giorni su 365 sono segnati in rosso), è anche vero che un matrimonio è sempre un matrimonio, e tutte le dee fecero a gara a chi fosse più in tiro.
Capitò che una dea non venne invitata; si trattava di Eris, dea della discordia, la quale puntualmente veniva evitata quando si organizzavano matrimoni, cresime, battesimi, compleanni e riunioni di famiglia. A oggi, se Eris si fosse chiesta il perché di tanto ostracismo, avrebbe scoperto che ciò accadeva perché la dea, fondamentalmente, non si lavava. Sì, insomma, puzzava. Se lo avesse scoperto, forse si sarebbe potuta semplicemente fare una bella doccia, provare una nuova marca di deodorante e si sarebbero evitate tante morti. Ma tant’è che..
Eris, indispettita dall’ennesima festa organizzata senza di lei, decise di vendicarsi: creò una mela d’oro e vi incise sopra le parole “Alla più bella!”, per poi lanciarla sul tavolo del banchetto, fuggendo via saltellando come un canguro e ridacchiando come una mentecatta (e in effetti forse il suo odore non era l‘unico motivo per cui gli altri dei la evitavano).
La mela colpì un invitato alla nuca, facendolo cadere svenuto con la faccia in una coppa di macedonia, quindi rimbalzò verso il tavolo più importante; lì sedevano, tra gli invitati, tre delle dee più simpatiche, umili e sensibili (abbiamo dovuto sostituire i reali aggettivi per motivi di marketing) dell’Olimpo: Atena, Afrodite ed Era.
Atena, figlia prediletta di Zeus, era una guerrafondaia militante femminista, tanto umile che una volta, incontrata una donna che sapeva “tessere” meglio di lei, pensò bene di trasformarla in ragno (e schiacciarla). Ed era la più bella tra le dee.
Afrodite, dea della bellezza, non mancava mai di far notare di essere, appunto, la dea della bellezza. Fondamentalmente, nessuno sapeva far altro che essere bella. Diciamo che, al suo posto, la matrigna di Biancaneve si reputava appena decente. Ed era la più bella tra le dee.
Era, sposa di Zeus, era una moglie devota e fedele. E terminalmente gelosa: Zeus, infatti, non era uno a cui dispiacesse “togliersi lo sfizio” qui e lì; Era, da parte sua, rimediava con semplicità: poiché non poteva far nulla al suo invincibile, immortale e potentissimo marito, si limitava a prendersela con le amanti (spesso involontarie) uccidendole, torturandole o, nei casi più gravi, facendole partecipare alle trasmissioni televisive della domenica pomeriggio. La dea teneva il conto delle rivali sistemate: al momento era a quota duecentotredici. Ed era la più bella tra le dee.
Quando tra le nostre signore capitò quindi la mela di Eris, fu questione di attimi il passare da un:
– Ehi, ma di chi sarà questa mela?
A un:
– Ehi, stronza, leva le mani dalla mia mela! Ti cavo gli occhi, sgualdrina!
La lite degenerò in una rissa fuori controllo (ci scappò anche il morto, ma non era uno importante) e alla fine fu messo in mezzo Zeus: ognuna delle tre, con aria feroce, pretese che il signore dell’Olimpo decidesse chi di loro fosse la più bella e a chi spettasse, di conseguenza, la mela. Zeus era uno sveltone e, se era sopravvissuto a cose come la furia omicida di suo padre, la guerra dei titani e il primo tradimento di sua moglie, lo doveva al suo potere più grande: delegare agli altri. Puntò il dito fuori dalla finestra e urlò:
– Eccolo! È lui che dovrà decidere!
Casualmente, in quell’esatto momento, il giovane pastorello Paride, stava portando le pecore al pascolo proprio da quelle parti (Sì, lo so che Troia era lontana, ma a volte i pastori pascolano facendo il giro largo, che volete?). Subito le tre dee si fiondarono sul ragazzo come tre furie e gli spiegarono in breve che razza di montagna di guai gli era piombata addosso. Per Paride, non si prospettava un momento facile, soprattutto considerando che il ragazzo, da parte sua, disponeva della personalità di una pera nel corpo di un lanciatore di coriandoli fuori forma. Inoltre, va anche detto che al giovanotto non erano ancora ben chiare le differenze fondamentali tra uomini e donne, né l’origine dei bambini (No, osservare le pecore non lo aveva aiutato, e questo ci fa capire che era per davvero fratello di Cassandra.).
Fatto sta che, di fronte alla radicata incertezza del pastorello, le tre dee ricorsero al sistema più semplice di vincere un concorso di bellezza: la corruzione.
Atena gli offrì di diventare un grande condottiero: non avrebbe mai perso una battaglia, e gli sarebbero venuti dei bicipiti che nemmeno Schwarzenegger al suo top aveva mai avuto. Ma Paride, che aveva la stessa affinità per la guerra di un topo da laboratorio sotto sedativi, non sembrò molto colpito dalla cosa.
Era gli offrì, invece, dei poteri sovrumani: il ragazzo avrebbe potuto arrampicarsi sui muri, tirar fuori artigli adamantini dalle nocche e vedere attraverso il dorso della carte da gioco. Ma Paride, che non aveva molta fantasia, si chiese in che modo la cosa avrebbe potuto aiutare la sua carriera di pastore, e non sembrò convinto nemmeno da questa offerta.
Venne quindi il turno di Afrodite, che tra le tre, contro ogni possibile intuizione, si rivelò la più furba, e portò Paride con sé dietro una collinetta, dove gli fece un corso accelerato di biologia. Finalmente le idee confuse di Paride sul mondo si schiarirono un poco, e gli fu infine comprensibile perché i montoni fossero sempre tanto allegri. Oltre questa piccola escursione culturale, Afrodite, cui piaceva stravincere, promise al ragazzo che, se avesse scelto lei, gli avrebbe fatto incontrare la più bella ragazza del mondo. O almeno della Grecia, che per i greci era più o meno la stessa cosa. Paride, ancora un po’ stralunato dalla recente esperienza, accettò: diede la mela ad Afrodite la quale e si preparò ad incontrare l’amore della sua vita.

Continua…

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