Giovanno era un piccolo e perfido tiranno, basso, con i capelli biondi e gli occhi no, che fondamentalmente odiava tutto e tutti e da tutto e tutti veniva a sua volta odiato.
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Il principe Giovanno si annoiava facilmente, ed era sempre infelice per questo; provò ogni espediente per combattere la noia, come far frustare gli schiavi, andare a caccia di volpi, far frustare le volpi, andare a caccia di schiavi, far frustare i cacciatori, schiavizzare le volpi e far cacciare gli schiavi dalle volpi, ma nulla di tutto questo servì a soddisfarlo.
Così, una notte, il piccolo, insopportabile sovrano gironzolava sconsolato per la sua enorme reggia,
chiedendosi come fare a sconfiggere il suo tedio, quando improvvisamente sentì un rumore!
Il principe era nella torre più alta del castello più alto del regno, e il rumore, stupefacentemente, veniva dalla finestra! Nel buio della notte, un enorme faccione si profilò nelle tenebre, e una creatura brutta e deforme si palesò al detestabile principe Giovanno.
La figura, tozza, raccapricciante e verde, era quella di un troll!
– Accidenti! – esclamò, sorpreso e furibondo il principe – Cosa ci fa una così orribile, fetida, immonda, sozza, lercia, sordida, truce, deforme, grottesca e orribile creatura nel mio castello?
Senza scomporsi, il troll si guardò intorno e, con estrema nonchalance rispose:
– Scusa, non m’ero accorto ci fosse anche tua mamma, qui.
Imporporandosi di porpora, che era anche il suo colore preferito, il principe replicò, ululando di rabbia:
– Ah, bestia infame! Come osi! Ti intrufoli nel mio castello e mi manchi così di rispetto? GUARDIE! GUARDIE!
Subito, dal piano di sotto, si sentirono i passi delle guardie in marcia, pronte a intervenire; il troll, senza scoporsi, schioccò le dita e subito il rumore cessò! Stupefatto, Giovanno si accorse che il tempo si era fermato: le fiamme delle torce erano immobili, così come una mosca di passaggio. Guardando l’intollerabile principe con disprezzo, il troll chiese:
– Aha! Miserabile principe Giovanno, tu lo sai chi sono io?
Scrollando le spalle, imbronciato e frustrato, il principe rispose:
– Un testimone di Genova?
– Sì, certo. Magari anche uno di Pisa. Ma no, piccolo mentecatto! Io sono Gino, il magico re stregone dei troll!
Il principe Giovanno, arrogante e superbo, cercò di squadrare il troll dall’alto in basso; non ci riuscì perchè più corto di almeno un metro, ma almeno ci provò.
– Di certo non puoi essere un sovrano importante come me! E comunque cosa vuoi da me?
Gino il magico re dei troll guardò Giovanno scuotendo la testona verde e disse:
– Sono qui per castigarti! Sei una persona orribile e odiosa, la tua tirannia è insopportabile e hai una faccia da schiaffi che proprio guarda non so come non sto ancora gonfiandoti di criccate. Ho quindi deciso di venire a insegnarti un po’ di umiltà!
Così detto, Gino il magico re dei troll invocò un potente sortilegio e abra cadabra, magimagia, sim sala bim, urza mazurka, bim bum bam, il piccolo, odioso principe Giovanno venne trasformato in un venditore ambulante di rose.
– Che ti serva di lezione, miserabile principe! Tornerai normale solo quando imparerai il valore dell’umiltà! E ora devo andare, altri sovrani devono essere castigati!
Ciò detto, il magico troll volò fuori dalla finestra e sparì nella notte, quindi il tempo riprese a scorrere e le guardie fecero irruzione nella sala, dove, al posto del loro sovrano, trovarono un venditore di rose che, obbedendo a un istinto più forte di lui, cercò di venderne un mazzo al capitano, chiedendo insistentemente un euro. Le guardie, manco a dirlo, lo caricarono di manganellate e lo buttarono a calci in strada.
L’ex piccolo principe, sconvolto e infelice, iniziò a comprendere i suoi errori: decise così che avrebbe lottato per riconquistare il suo regno e si preparò a un duro percorso di formazione morale, vivendo nei sobborghi con altri mendicanti, elemosinando la pietà altrui; probabilmente, si disse, avrebbe fatto strane e interessanti amicizie, forse si sarebbe innamorato di una fanciulla che lo avrebbe amato per quello che era; nel frattempo, era ovvio, un usurpatore avrebbe preso il suo posto, e lui, con l’aiuto dei suoi amici e dei suoi nuovi valori, avrebbe prevalso, portando una nuova epoca di luce e giustizia al regno!
Poi però prese la scabbia e morì.
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E vissero tutti felici e contenti, perchè in effetti senza principe cadde la monarchia e fu proclamata una democrazia e non ci furono quasi più ingiustizie al mondo.
La morale
La morale della favola è che se proprio avete delle rose da vendere, almeno cercate di venderle a delle coppiette, di certo non a delle guardie incazzate!