PANDORA – Capitolo 6

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I due avanzavano abbastanza velocemente: Vejen, da parte sua, era agile e scattante, abituato ad arrampicate molto più scomode – l’ultima, per dirne una, era consistita nella guglia di vetro, costellata di punte avvelenate, nella quale il Gran Visir teneva custodito il suo preziosissimo tesoro, ora gettato alla rinfusa nel suo capiente zaino; dall’altro lato, il misterioso straniero si muoveva con un certo sforzo, zoppicando vistosamente, eppure sembrava dotato di un vigore e un’energia infiniti, non si fermava mai a riprendere fiato e si muoveva come animato da un’ossessione inarrestabile.
Più si inerpicava lungo il difficile sentiero, tuttavia, più Vejen faticava a trattenere la curiosità: il suo compagno di viaggio era chiaramente un personaggio bizzarro, e il ragazzo ardeva dalla voglia di saperne di più; così, appena ne vide l’occasione, restò qualche passo indietro, fingendo di voler riposare un minuto le gambe, quindi tirò fuori il libro e, apertolo, disse:
– Libro? Ci sei?
Di nuovo, sulla carta prese forma il volto stilizzato che, pur dotato solo di tratti approssimativi, riuscì a esprimere risentimento e rassegnazione.
– Vejen, per l’ennesima volta, ci sono sempre. Non mi spengo mai, è chiaro? Allora, cosa vuoi sapere stavolta? Una ricetta? – in qualche modo, le parole scritte riuscirono a esprimere perfettamente l’amarezza del potente tomo.
Sorpreso, il ragazzo rispose:
– Perché dovrei chiederti una ricetta?
Il volto si contrasse in una smorfia, sospirò e replicò:
– Dimmelo tu. Hai tra le mani una delle reliquie più potenti di Pandora, altre le porti come cianfrusaglie nel tuo zaino, e non fai che usarle per gli scopi più futili. Lasciamo perdere: cosa vuoi?
Vejen ignorò lo sfogo, data la sua innata abilità nell’ignorare tutto ciò che non lo interessava.
– Chi è questo tizio con cui viaggio? Sai rispondere anche a questo?
Il volto mutò forma un paio di volte, roteando su se stesso.
– Non è facile. Ho raccolto qualche dato, attraverso le tue percezioni, e posso fare delle proiezioni. Perché non provi a chiederglielo? – terminò il libro con una punta di acidità. Il ragazzo, tuttavia, non parve cogliere traccia di sarcasmo; al contrario, si illuminò, sorrise, richiuse il libro e scattò per raggiungere il suo compagno. In pochi minuti gli fu affianco e disse:
– Ehi, amico! Senti, mi sembra un po’ brutto viaggiare insieme senza sapere niente l’uno dell’altro. Io mi chiamo Vejen, e tu?
Lo straniero non rallentò neppure e, senza voltarsi, rispose, con distacco:
– Non vedo di che utilità possa esserti saperlo. Ma se è così importante per te darmi un nome, puoi chiamarmi Nomus.
– Bel nome. Non sei umano, vero?
Nomus distolse appena lo sguardo, apparendo vagamente seccato dall’atteggiamento dirompente del giovane avventuriero.
– No, non lo sono, come è ovvio che tu non appartenga a questo mondo. Tuttavia inizio a chiedermi che utilità possano avere per te queste informazioni.
– Ehi, sei diretto. Mi piace! Hai ragione, non sono di questo mondo, e non è che abbiano una chiara utilità. Forse l’avranno un giorno, chissà. Per il momento sono solo curioso. Se mi dici chi sei veramente, io posso dirti come raggiungere il Portale.
Finalmente Nomus si fermò, subito imitato da Vejen. Lo straniero tirò leggermente indietro il cappuccio, così che Vejen poté vederne bene gli occhi; di fronte alle sottili iridi di bronzo infuocato, tuttavia, il ragazzo non ebbe alcuna esitazione, anzi, il suo sguardo si accese di interesse.
– Sei bizzarro, umano. Non ti comporti come la norma dei tuoi simili. Dato che ci tieni a saperlo, te lo dirò: sono un Perduto, l’ultimo della mia specie. Per quanto riguarda il Portale, la mia priorità non è tanto attraversarlo, quanto raggiungerlo prima che altri lo attraversino.
– Bene, allora converrà muoverci!
Preso in contropiede, Nomus esitò, mentre Vejen riprendeva la scalata.
– Come?
Era la prima volta, in una immensa distesa di tempo passato, che il Perduto si sentiva così spiazzato.
– Vuoi raggiungere qualcuno, hai detto. Bene, ti voglio aiutare. Andiamo, su!
Vejen riprese la scalata e Nomus, incerto e confuso, gli tenne dietro. Decisamente, non aveva mai incontrato un umano così.
Mentre proseguivano, entrambi, tuttavia, davano le spalle al fiume e alla città, lontana all’orizzonte, così nessuno dei due vide il cielo scurirsi e il primo detrito precipitare.
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Orrec aveva iniziato da poco la discesa del fiume, gongolante di gioia; non aveva mai guadagnato così tanto in una sola mattinata, e la sua vita ora poteva solo migliorare! Un angolo della mente del pescatore prudeva insistentemente, come per avvertirlo, ma l’uomo era troppo contento per lasciarsi distrarre dal suo sesto senso e proseguì navigando, fischiettando con allegria, fino a che si accorse, quasi per sbaglio, del cielo.
Le nuvole andavano contorcendosi, gorghi neri si intrecciavano oscurando il sole e adombrando l’orizzonte. Orrec smise di fischiettare e si chiese cosa diavolo stesse succedendo, così che finalmente la sua voce interiore iniziò a farsi sentire.
La voce gli urlava, dal profondo: “SCAPPA! RISALI IL FIUME!”

Yiren era sul ponte della Tagliacuori quando il primo detrito cadde su Vecchioconfine.
La donna stava supervisionando il carico delle merci appena comprate, quando il detrito precipitò: era come una grossa scheggia, larga almeno tre metri e alta il doppio, frastagliata e affusolata, nera come la notte ma dotata di riflessi sconcertanti, come un frammento di carbone iridescente. Si fece strada tra i nembi grumosi che s’erano formati in cielo, fendendo l’aria con un sibilo mostruoso, fino a che si schiantò al suolo, in mezzo alla città.
L’urto fu devastante, frammenti di edifici volarono ovunque, un muro di polvere si alzò ricoprendo il quartiere colpito. Yiren non esitò un istante: iniziò a latrare ordini precisi ed efficienti, e subito l’equipaggio obbedì come una macchina ben oliata. Tutto ciò che era stato caricato venne portato sotto coperta; il resto del carico venne abbandonato sul molo, mentre venivano issati gli ormeggi e la nave, rapidamente, si preparava a distaccarsi dal molo, e gli schermi protettivi venivano alzati. “Che diavolo succede, adesso?” si chiese, con sgomento, la pirata.
Lentamente, altre sagome scure cominciarono a piovere sulla città, altri detriti neri si schiantavano, alcuni tra le case, altri lungo il fiume, tra le rocce, qualcuno in mare.
Poi dopo un poco, dal sito del primo impatto si alzò un grido, poi un altro, e la disperazione prese piede. Il detrito si era aperto, e dal suo cuore di oscurità, emerse una legione di terrore.

Mentre il caos si iniziava a scatenare, Vejen e Nomus erano ormai addentro al percorso tra le montagne, impossibilitati a vedere la città e il disco di tenebre che si era aperto su di essa.
Vejen aveva guadagnato un po’ di vantaggio sul suo compagno e ne approfittò per aprire il libro e chiedere:
– Libro, che cosa sono i Perduti?
– Ascolta, Vejen, ci sono cose più pressanti di cui dovremmo preoccuparci! A ovest…
– Sì, me lo dirai dopo. Cosa sono i Perduti?
Il libro esitò per un istante, provando una frustrazione inesprimibile. Ma aveva ricevuto un ordine chiaro e perentorio.
– Con questo nome viene indicata una specie ritenuta estinta, anche se il tuo compagno è la negazione vivente di questa credenza. Era un antico popolo, tra i più potenti di tutta Pandora. Secondo la datazione di questo mondo, sono scomparsi completamente da più di tremila anni, da quando cioè una catastrofe colpì il loro mondo natale; non è certo, però, di che cosa si sia trattato esattamente. In alcuni mondi, tuttavia, molte loro testimonianze restano, e sono molti i miti nati su questo popolo. Non ho mai avuto accesso ai Portali del loro mondo originario, quindi ho solo informazioni di seconda e terza mano, poco più che leggende. Una teoria piuttosto verosimile, tuttavia, indica che questa razza possiede un talento naturale nella manipolazione dell’energia in tutte le sue forme.
– Va bene così. – lo interruppe Vejen, pensoso. La cosa si faceva sempre più affascinante.
– Bene; ora, come ti dicevo, è in corso una cosa terribile, a Vecchioconfine! Stanno…
Vejen richiuse di colpo il libro: Nomus l’aveva raggiunto e il ragazzo gli sorrise, facendo cenno di proseguire. Ora davvero moriva dalla voglia di vedere cosa sarebbe successo.
I due si arrampicarono in silenzio per un po’, fino a raggiungere un largo spiazzo roccioso costellato di macigni. Alla sommità e al lago mancava ormai poco, valutò Vejen con entusiasmo. Nomus lo superò, diretto verso il sentiero che l’avrebbe condotto in cima, quando Vejen fu colto da un presentimento: c’era qualcosa che non andava!
Colse un movimento tra le rocce, un rapido bagliore metallico, e senza riflettere scattò: si gettò su Nomus, afferrandolo, e lo trascinò con sé dietro un macigno, urlando:
– Attento!
Rotolarono dietro la roccia proprio mentre un colpo veniva sparato, trafiggendo il macigno dove un momento prima era stata la testa del Perduto. Questi si rialzò in fretta, dicendo con voce furiosa:
– Non farlo più, umano: avrei potuto ucciderti!
– Ok, Nomus, ma ora sta giù: qualcuno ci sta sparando!
Il Perduto non sembrò scosso dalla cosa; fece un passo attorno al macigno, mentre Vejen sentì distintamente il rumore di qualcuno che correva tra le rocce, evidentemente cercando un riparo da cui sparare con più cura.
Nomus emerse calando il cappuccio, spaziando la piana con il suo sguardo terribile e bruciante, aprendo e chiudendo le mani. Aveva superato un ostacolo dopo l’altro, e non aveva certo paura di un miserabile cecchino! Lui era l’ultimo dei Perduti: aveva poteri che gli umani non potevano nemmeno capire! Poteva dominare l’energia più pura, al suo volere si dovevano piegare il fuoco e il fulmine, poteva scindere la materia, distruggendo e creando con eguale facilità! Chiunque avesse osato sparargli non era che un folle!
Un nuovo boato squarciò l’aria: Nomus percepì il colpo e alzò la mano rapidamente, proiettando uno scudo che avrebbe annientato qualsiasi proiettile.
Tuttavia, il colpo trapassò lo scudo con facilità, colpendo il Perduto al petto e scagliandolo contro la roccia. Rapidamente, un secondo colpo fu sparato, mirato perfettamente tra i suoi occhi, ma Vejen, strisciando per terra, l’aveva raggiunto e lo tirò con sé con forza, celandolo dietro un altro macigno.
Nomus boccheggiava, sorpreso e stordito; appoggiandosi alla roccia, levò un magro braccio a tastarsi la ferita, da cui sgorgava un icore scuro e denso; con un gesto, ci fu un lampo e il flusso di liquido si ridusse, senza però arrestarsi. Il fuoco negli occhi del Perduto, per la prima volta da quando aveva iniziato il suo terribile viaggio, si tinse di incertezza. Con voce rauca disse:
– Non è possibile. Solo poche armi, in tutta Pandora, avrebbero potuto far questo, e sono tutte andate perse!
– Eppure – constatò Vejen, ansimando per lo sforzo appena fatto – Eccoci qui. Qualcuna di queste armi deve essere ancora in giro. Resta qui, ci penso io adesso, va bene?
Senza aspettare risposta, Vejen cominciò a muoversi furtivamente tra i massi e le sporgenze, silenzioso come un fantasma, mentre il Perduto restava lì a osservare incredulo la sua ferita, dalla quale, insieme al fluido vitale, scorrevano via le sue forze, lentamente.
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Il bambino era ancora seduto a gambe incrociate, immobile. Solamente, aveva aperto gli occhi, gettando uno sguardo distratto all’orizzonte. Il suo terribile cane si alzò, si sgranchì producendo dei rumori orribili, e si mosse con passi sgraziati, osservando con i suoi occhi putridi il disco di tenebre che si era aperto lontano, su Vecchioconfine.
Hereza, sempre più tesa, cercava di seguire gli eventi con il suo bacile, in cui aveva preparato un nuovo intruglio della divinazione. La donna, sempre così sicura di sé, non si era mai sentita tanto in ansia: si era preparata a una moltitudine di scenari, ma ora gli eventi sembravano stare susseguendosi come una valanga fuori controllo. Innanzitutto, aveva scoperto che Negato aveva intercettato il Perduto, e per un attimo la donna si era concessa di esultare: aveva visto, nella trama del Destino, il filo del suo nemico che si spezzava! Poi, però, si era ricomposto: un fattore imprevisto era emerso. Una matta nel mazzo di carte del fato era stata pescata, e aveva sconvolto tutto. Il Perduto aveva trovato un alleato insperato, che ora sembrava scuotere tutto ciò che lo circondava. Tuttavia non perse speranza: Negato era un abile cacciatore, e disponeva di un’arma terrificante; c’era ancora possibilità che ce la facesse.
Poi osservò, con preoccupazione crescente, il cielo nero, e consultò ancora il suo bacile. Apparvero altre figure, e altri fili si intrecciarono. Vide un imponente scudo, sul quale era inciso un elaborato stemma araldico. Una bestia ricurva e spinata, con cinque teste da serpe dotate di corna, due zampe artigliate, lunghe ali membranose e una coda arpionata, in un campo di spine e pungiglioni. La donna riconobbe senza difficoltà l’emblema, digrignando i denti con rabbia.
Come lei aveva trovato il bambino, che, ne era sicura, doveva essere il Majnaggda, il suo più acerrimo avversario aveva trovato una fonte di potere altrettanto spaventosa.
Con un sorriso amaro, la strega si preparò al confronto.

Continua nel capitolo 7 dove…

1. Vejen e Nomus dovranno affrontare Negato. La strada per la salvezza sarà:

nuovalon062Aggressività: la miglior difesa è l’attacco!
nuovalon063Diplomazia: la violenza è l’ultimo rifugio degli stolti.
nuovalon064Fuga: che senso ha affrontare uno scontro che posso evitare?
nuovalon065Deus Ex Machina: se sono così fortunati, qualcosa li salverà!

2. Un nuovo personaggio entra in gioco; quale sarà la prossima mossa del misterioso rivale di Hereza?

nuovalon062Raggiungere il tempio tra le montagne.
nuovalon063La distruzione di Vecchioconfine.
nuovalon064La conquista, senza necessariamente distruggere tutto.

nuovalon065Per ora niente, per un capitolo lasciamolo stare.

3. Vejen e Nomus riusciranno ad arrivare al tempio?

nuovalon062Non in questo capitolo.
nuovalon063Sì, e abbastanza in fretta.
nuovalon064Sì, ma solo dopo molti eventi.
nuovalon065La loro meta cambia inaspettatamente!

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