Eliade – Parte 2

4. Riunione di famiglia

Il giorno dopo la vicenda della mela, Paride si ritrovò un po’ depresso: si era infatti reso conto di aver agito un po’ affrettatamente: Afrodite gli aveva infatti rivelato, dopo aver ricevuto la mela d’oro, che la donna più bella del mondo non si trattava d’altri che di Elena, moglie di Menelao, condottiero, sovrano di Sparta e signore del crimine organizzato nel tempo libero.
Decisamente, era un target un po’ alto per un pastore. Fortuna volle che le cose cambiassero di lì a poco: capitò infatti che una strega buona, capitata lì per caso, gli rivelasse la sua nobile origine! Paride, senza pensarci due volte, mollò pecore e genitori adottivi, corse a Troia e suonò al citofono.
Ovviamente, all’inizio, Priamo non fu particolarmente convinto delle pretese origini del pastorello; soprattutto, lo rendeva perplesso l’aspetto gracile e da smidollato che era caratteristico di Paride: tutti gli altri ventiquattro – quarantanove figli di Priamo erano infatti virili, muscolosi e feroci, primo di tutti Ettore, il fratello maggiore, che a riposo sembrava un carro armato sotto steroidi.
Tuttavia la salvezza di Paride fu sua sorella Cassandra: vedendolo sulle scale del palazzo, la veggente meno furba del mondo classico accorse urlando; grazie ai suoi poteri, sapeva benissimo che quello era davvero Paride e decise, una volta, di provare a giocare d’astuzia, dicendo il contrario di ciò che aveva visto:
– Fermi tutti! Quello non è assolutamente Paride! È solo un cialtrone! Vuole venderci un abbonamento telefonico scadente, probabilmente è albanese! Per nessuna ragione al mondo, NESSUNA dico, deve essere riconosciuto come principe troiano!
È chiaro ancora una volta che, se Troia cadde, non è proprio tutto merito dei suoi nemici.
Date le urla di Cassandra, infatti, subito Priamo si tirò su e disse, con voce imperiosa:
– Ma che dici, cretina? Non vedi che è il mio ritratto sputato? È ovvio che è un principe troiano! Ragazzi, dite ciao a vostro fratello! Ragazzino, scusami se t’ho dato via appena nato, non ricordo nemmeno più perché l’ho fatto.. sai, son quelle sciocchezze che uno fa da giovane, sei lì che ti godi la vita, t’arriva il cinquantesimo, o forse centesimo, figlio, e BAM! Ecco che arriva lo sclero! Dai, facciamo come niente fosse successo: ti becchi subito un posto a corte, qualche bel vestitino e un ministero al volo, che ne dici?
E così tutti furono contenti e la giornata finì a tarallucci e vino.
In effetti, due rimasero scontenti: una era, ovviamente, Cassandra, che si sentiva sempre più sicura dell’imminente fine di Troia, iniziando a pensare che forse se la meritava anche. L’altro era Ettore, che guardando al fratello non riusciva che a scuotere la testa, chiamandolo, tra sé e sé, una checca isterica (sì, Ettore era un po’ omofobo).
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5. La storia di Elena

Parliamo ora di un personaggio che avrà un ruolo chiave in questa storia: Elena.
Elena, a oggi nota come Elena di Troia.
Che, tra l’altro, va detta una cosa: fino a prima che la bella Elena giungesse a Troia nel modo che vedremo più avanti, la città di Priamo aveva un altro nome, cioè Ilio. Dopo aver ospitato per un po’ la bella Elena, il nome della città fu deciso all’unanimità, benché oggi se ne sia dimenticata la ragione. Comunque.
Elena ebbe una storia abbastanza intricata: secondo le versioni, ebbe una madre e mezza dozzina di padri. Contemporaneamente. Questo dimostra che Leda, la mamma di Elena, avesse già quelle qualità che poi la figlia avrebbe dimostrato a sua volta.
Di certo, comunque, uno di tali padri fu Zeus che, peraltro, era un dio molto intraprendente e, facendo un test del DNA, si sarebbe dovuto accollare la paternità di una parte imbarazzante della popolazione della sua epoca. Fatto sta che Elena nacque bella, ma proprio bella, ma veramente, cioè, accidenti quanto era bella, ma del tipo che UAU cioè, era proprio bellissima! Insomma, piaceva abbastanza.
Per questo motivo, non appena iniziò a fare lo sviluppo, la porta del padre/patrigno di Elena, il povero Tindaro, marito di Leda, chiamato uomo-cervo per non meglio chiarite ragioni mitologiche, si trovò la porta di casa assediata di pretendenti.
Un paio di eroi provarono a rapirla che era ancora ragazzina, ma Tindaro riuscì nei vari casi a scacciarli, in genere prendendoli a fucilate, ma il poveretto, che voleva bene alla ragazza come se fosse veramente figlia sua (o almeno, esclusivamente figlia sua) capì che occorreva trovare un rimedio.
Il peggio avvenne quando, una volta che Elena fece il suo ballo delle debuttanti e fu dichiarata in età da marito, un’orda selvaggia si presentò a chiedere la sua mano: si trattava di tutti i grandi capi dei vari regni greci. Subito, fu un caos di testosterone inferocito: “L’ho vista prima io!”, “Levati, animale, o ti macello!”, “Affè mia, a chi la toccherà gli aprirò le terga!”, “Buzzurro, levale gli occhi di dosso! Ti sfido a duello!” e “Ehi, ragazzi, non trovo gli occhiali, chi mi aiuta?”
Il panico fu evitato, come spesso accadeva in quel tempo, dal furbo Ulisse, il quale propose un espediente: tutti i pretendenti avrebbero fatto un solenne giuramento; tutti insieme si sarebbero sottoposti a un sorteggio per decidere chi sarebbe stato il marito di Elena – che, essendo donna, non aveva ovviamente voce in capitolo – e avrebbero giurato che, chiunque fosse stato il fortunato, tutti gli altri avrebbero rispettato la cosa e, per di più, sarebbero accorsi al suo fianco casomai un altro uomo avesse rapito Elena. Anche se fosse stato uno straniero. Tipo un troiano. Anche se la cosa avrebbe comportato, che so, una guerra decennale. Anche a costo di farsi massacrare a centinaia, a migliaia. Anche a costo di..
Va detto che Ulisse disse queste cose tanto per dire; in fondo, pensava, cosa poteva mai succedere?
L’estrazione fu fatta e risultò, vincitore, il buon Menelao, che per la cronaca era anche l’unico che non si era molto preoccupato dell’intera faccenda: bonaccione com’era, non voleva mettersi a litigare con i suoi amici.
Menelao vinse Elena, la sposò, e tutti vissero felici e contenti. Fino al prossimo paragrafo.
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6. Fughe d’amore, o quasi

Una volta sistematosi a corte, poco ci volle che a Paride arrivasse l’occasione di incontrare finalmente Elena, la donna dei suoi sogni.
Che poi dimenticavo, tanto per la cronaca, che Paride, quando ancora era pastore, si era anche sposato. Ma si sa, nel mito greco le donne troppo vecchie (ovvero oltre i 22 anni) venivano abbandonate facilmente. Quindi nisba, era talmente inutile che la lasciamo fuori dalla faccenda.
Come dicevo, un giorno re Priamo decise di mandare un inviato a Sparta per discutere di alcune importanti faccende diplomatiche: pedaggi mercantili, guarnigioni di confine, trattati di pace, i numeri del lotto e traffici di articoli per adulti. Per questa importante missione, il saggio re scelse inizialmente Ettore, il suo primo e più forte figlio. Paride subito fece notare al suo augusto padre che, fondamentalmente, l’idea chiave che Ettore aveva della diplomazia era quella di offrire al nemico la scelta del primo arto da farsi strappar via e come, per quanto egli incarnasse l’ideale del guerriero perfetto e fosse l’uomo più amato e ammirato di Troia, avesse la stessa arguzia di una lampadina fulminata.
Per fortuna di Paride, Ettore, che era lì presente, benché avesse la struttura fisica di una torre d’assedio, presentava anche la rapidità di reazione di una torre d’assedio; non colse le offese se non due giorni dopo.
Così, subdolamente, Paride fece notare al padre come lui, che era mingherlino e furbetto, fosse più adatto a una missione del genere. Priamo, che si mostrò inizialmente scettico, fu definitivamente persuaso quando Cassandra fece irruzione nella sala del trono urlando:
– No padre, no! Tutto ma non questo! Non far andare Paride a Sparta o saremo tutti condannati!
E subito Priamo mandò Paride in missione.
Paride arrivò quindi a Sparta senza problemi; qui, incontrò infine Menelao, che era un guerriero formidabile, un grande capo, un cuoco niente male e ingenuo da far schifo.
Era talmente ingenuo, che i genitori avevano dovuto bloccargli il conto corrente dopo che era cascato per tre volte di fila nella truffa del principe etiope in esilio.
Era talmente ingenuo che lo si batteva al gioco delle tre carte usando una sola carta.
Era talmente ingenuo che quando gli si presentò Paride alla porta, gli chiese cosa potesse offrirgli, e quando questi rispose “tua moglie!” rise pensando fosse proprio una battuta simpatica.
Paride restò alla corte di sparta per qualche giorno, durante i quali bevve il vino di Menelao, mangiò il pane di Menelao, usò il bagno di Menelao e già che c’era conobbe, corteggiò e sedusse la moglie di Menelao. In sostanza, si può dire che Paride era un pessimo ospite.
I due tubarono per un po’ alle spalle di Menelao, il quale non capiva perché all’improvviso riscontrasse qualche difficoltà a passare dalle porte più basse del palazzo; un giorno poi il re spartano dovette assentarsi per questioni di lavoro (probabilmente doveva aiutare una vecchietta ad attraversare la strada) e chiese a Paride di tenere d’occhio la bella Elena e farle compagnia. Appena fu partito Menelao, Paride decise che sarebbe stato molto più facile tenere d’occhio Elena a Troia, così i due si imbarcarono e sparirono.
È da notare come Menelao, una volta tornato, volle convincersi che i due gli stessero facendo uno scherzo: girò per la reggia per giorni, convinto fossero nascosti da qualche parte. Per sicurezza contò anche ad alta voce, così che capissero che aveva capito il gioco. Arrivato a trentamila iniziò a dubitare del gioco. Arrivato a duecento settantamila iniziò a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava. Arrivato a un milione e mezzo decise che lo scherzo era durato troppo. Arrivato a settantadue milioni, smise di contare e andò a chiamare suo fratello.

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