Il codice da Vinci – L’arte della mistificazione storica di Dan Brown

“Il codice da Vinci” è un romanzo thriller, scritto dallo statunitense Dan Brown nel 2003 e giunto in Italia un anno dopo.
Attualmente è uno dei libri di maggior successo di sempre, con un record di vendite di ottanta milioni di copie e, contemporaneamente, ha guadagnato un ugual record di controversie, critiche e dispute. Vediamo il perchè.

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Immagine: copertina del libro


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La trama

La storia a Parigi, con un delitto: una notte, nel museo del Louvre, l’anziano curatore Jaques Sauniere viene assassinato ma, prima di morire, l’uomo riesce a lasciare un enigmatico messaggio usando il proprio sangue.
Il giorno successivo, il professore di Harvard Robert Langdon, che si trova in città per delle conferenze, viene convocato dalla polizia; ufficialmente gli viene chiesto aiuto per interpretare il messaggio lasciato dal Sauniere, ma in realtà l’ispettore del caso, il capitano Fache, sospetta del professore: nel messaggio originale del morto, infatti, compariva il nome dell’americano. Quando poi arriva si unisce al gruppo delle indagini una crittografa della polizia di Parigi, la bellissima Sophie Neveau, le cose si complicano ulteriormente: la ragazza convince Langdon a fuggire con lei, spiegandogli che la polizia sospetta un suo coinvolgimento; i due scappano insieme, e lei ne approfitta per introdurre il professore in un vasto mondo di intrighi, segreti, misteri e simbolismi.
Improvvisamente, quello che sembrava un semplice omicidio si rivela essere solo il tassello di un mosaico che coinvolge il Priorato di Sion, una misteriosa organizzazione segreta antica e potente, legata all'”eredità di Cristo”, l’ordine dei cavalieri templari, il sacro Graal e logge massoniche; ci si trova così impegnati in una assurda “caccia al tesoro”, inseguiti implacabilmente da un misterioso killer albino agli ordini di un mandante misterioso, ricercati dalla polizia francese e sulle tracce di quello che potrebbe essere un segreto capace di sconvolgere l’intera società.

La premessa deviante

Come l’ho scritta, la trama potrebbe essere intrigante, in linea di principio. Potrebbe essere l’incipit di un buon thriller, una buona opera di fantasia.
L’errore grave che però a suo tempo ha commesso Brown, a prescindere dallo stile, che esaminerò più avanti, è stato di porre una premessa al libro. La premessa fu successivamente modificata e poi rimossa in successive edizioni, eppure il danno ormai era fatto.
La premessa iniziale diceva che, benché i singoli personaggi dell’opera e gli eventi presenti descritti fossero opera di fantasia, gli eventi storici narrati erano invece reali ed accurati e cose come il Priorato di Sion erano realtà storica.
Questa sola introduzione bastò a rendermi scettico. Dopo aver letto l’opera, mi rese furioso.
Il libro ESONDA di errori storiografici; si va da quelli microscopici, che uno potrebbe giustificare come licenza narrativa, fino a quelli plateali, che non si possono giustificare in nessun modo; a prescindere dalla loro gravità, tuttavia, la premessa deviante inserita da Brown convinse milioni di lettori ingenui, in tutto il mondo, a credere a questa versione alternativa della storia reale.
Non voglio biasimare i lettori, fondamentalmente: se io ho potuto subito smascherare l’intento fraudolento (perchè sì, spacciare fatti inventati per storici a scopi commerciali è frode bella e buona) è perchè, per mia fortuna, nutro una profonda passione per gli argomenti trattati dal libro fin da quando ero piccolo; ho iniziato ad accumulare libri e ricerche su Graal e templari fin da quando ero piccolo, e subito ho potuto notare le assurdità storiografiche inserite dall’autore. Si è trattato, ai miei occhi, di un puro e semplice espediente per arricchirsi sfruttando l’ignoranza generale di un argomento poco approfondito dalla media delle persone.
Tanto per fare un esempio, uno tra tanti, c’è il Priorato di Sion, da Brown spacciato per “organizzazione antica e potentissima realmente esistente”.
Bene, vi linko l’articolo su wikipedia onde chiarirvi le idee, ma se vi annoiate vi faccio io un riassunto: il “Priorato” fu un’organizzazione nata nel ventesimo secolo, a opera di un paio di abili ciarlatani francesi, che si ingegnarono a creare documenti, stemmi, libri e discendenze storiche improbabili, con scopi che andavano dal gretto al ridicolo.
Errori storiografici analoghi Brown li ha commessi rispetto ai templari (dei quali magari parlerò un’altra volta, ci sarebbe da scrivere un enorme articolo solo su di loro), sul Graal, sull’intrigante mistero di Rennes-le-Chateau e quant’altro.
Questo solo errore basterebbe a bollare definitivamente l’opera, ma andiamo avanti.

Stile da best-seller

Dan Brown sa scrivere per il suo target, questo è indubbio.
Non è incapace: la forma e lo stile sono buoni, tecnicamente, ma la verità è palesemente un modo di scrivere fatto col solo intento di vendere.
A un lettore più esperto, mille espedienti appaiono talmente chiari da diventare ridicoli; uno tra tanti, la presentazione dei personaggi: Langdon e Sophie, protagonisti da film che dalla prima scena è già deciso che avranno una storia, sono descritti con mille aggettivi atti a sottolineare quanto siano belli e seducenti, e la cosa viene ribadita piuttosto spesso.
Fache, il detective, è subito presentato come “lo sbirro duro ma incorruttibile”; allo stesso modo il killer albino e il professor Teabing, che viene “arruolato” dai protagonisti in fuga per aiutarli, sono presentati in modo tale che solo che non ha una buona esperienza letteraria non possa capirne immediatamente le funzioni narrative.
Insomma, già solo sui personaggi si entra con biglietto intero alla fiera dello stereotipo: ogni personaggio non fa che ricalcare, in modi a volte imbarazzanti, i clichè caratteristici dei best-seller da ombrellone.
Per quanto riguarda la struttura narrativa, la cosa cambia poco: Brown elabora una buona serie di enigmi da risolvere, cosa che avrebbe potuto risollevare la qualità dell’opera, ma li rovina in due modi; da un lato, i personaggi li gestiscono con una stupidità aberrante, che ha il palese scopo di far sentire il lettore più intelligente; dall’altra, le soluzioni di tali enigmi si alternano tra vergognosamente ovvie e assurdamente improbabili. Nei dialoghi, nei rapporti tra i personaggi, nella gestione degli eventi, la prevedibilità regna indisturbata e il risultato è a dir poco dozzinale.

Le polemiche

Alla sua uscita, il libro scatenò una pioggia di polemiche.
Dal mio punto di vista, furono quasi tutte scatenate dai motivi sbagliati.
Alcuni, amanti della storia e della cultura come me, si inviperirono per la presunta verità storica dei fatti e per il chiaro intento truffaldino dell’opera, ma fummo la minoranza.
Contro Brown si scatenò la chiesa cattolica, per i riferimenti fatti all’Opus Dei, un’organizzazione cattolica che ha avuto, nel suo passato, la sua dose di ombre. Eppure questa critica fu moderatamente infondata: a ben leggere, nel racconto Brown è il primo a svelare come le presunte accuse siano fasulle, e che l’Opus Dei sia estraneo ai complotti della trama.
Ancora, contro di lui si accese una causa per plagio. E fu, a parer mio, una scelta ridicola.
La causa fu mossa all’autore da Michael Baigent e Richard Leigh, autori del best-seller degli anni ’80 “Il mistero del Graal”, un’opera di fiction spacciata per una “ricerca giornalistica” e che, sfruttando lo stesso espediente che ha reso così celebre Brown, diede enorme successo all’opera lasciando credere al grande pubblico che i fatti narrati fossero reali.
La causa, ovviamente, fu persa dai due; come stabilì giustamente il giudice, le possibilità erano due: se “Il mistero del Graal” era una raccolta di articoli reali e di ricerche storiografiche, le informazioni in esso contenuto diventavano patrimonio storiografico dell’umanità e potevano essere sfruttate, a scopo divulgativo o di fiction, da chiunque; se, viceversa, l’opera fosse stata di pura fictionr, allora Brown sarebbe stato colpevole di plagio, ma i due autori avrebbero dovuto finalmente ammettere al grande pubblico la loro colossale messinscena e ridicolizzarsi agli occhi del mondo. Ovviamente, decisero per la prima ipotesi: pagarono le spese processuali e le accuse caddero.
E Dan Brown ebbe ancora più successo.

Giudizio complessivo

Nel complesso, l’opera è, a voler essere gentili, dozzinale e scontata. Se si limitasse a questo, tuttavia, potrei ancora sentirmi di consigliarla come lettura estiva ai meno avvezzi alla narrativa impegnata.
Ma non è così: il libro insinua eclatanti bugie spacciandole per realtà storica, confonde le idee a chi non dispone di una sufficiente cultura, e propina convinzioni devianti e totalmente inaccurate.
Il successo del libro di Brown, in sostanza, è dovuto a un mix di furbizia dell’autore – ha saputo scrivere un libro capace di intrigare lettori poco esperti, e scritto in modo tale da farli sentire più in gamba dei suoi protagonisti – di pubblicità assordante e di scoop scandalistici. Ma se ci si sofferma sulla qualità intrinseca dell’opera, è un successo totalmente e vergognosamente immeritato.
Sconsiglio il libro e, a chi lo avesse letto, lancio una supplica: documentatevi! Non lasciatevi confondere le idee, i “fatti storici” propinativi da Brown sono fuorvianti e senza alcun legame con la realtà dei fatti!

E la prossima volta che aprite un romanzo nella cui introduzione è scritto “I fatti narrati sono realtà storica”, fatevi un favore, ora che viviamo nell’era di internet: fatele due ricerche e cercate delle fonti affidabili.
A dire cretinate siam buoni tutti.
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