PANDORA – Capitolo 4

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Mentre il Perduto si dirigeva verso Vecchioconfine, diretto senza requie verso la propria preda e la strega Hereza tramava per fermarlo; mentre Yiren si preparava ad armare la Tagliacuori per un nuovo viaggio e lo sventurato Negato andava incontro al Perduto per distruggerlo; mentre un giovane viaggiatore ignaro stava per inciampare in un nodo di conflitti antichi e terribili e tante strade andavano incontro l’una all’altra, remote potenze giocavano con la trama della realtà.
Divinità, Potenze, spiriti, essenze, chissà? Difficili da definire, queste entità si apprestavano a iniziare un gioco assurdo e, con eleganti mosse, decidere la sorte di mortali, popoli e interi mondi. Le pedine erano state posizionate, le mosse d’apertura compiute. Iniziava la vera partita.
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Il giovane si svegliò frastornato, indolenzito e intorpidito, ma soddisfatto. Riprese conoscenza lentamente, ringraziando i Due per la sua tolleranza ai postumi dell’alcol; stiracchiandosi, si alzò e sbadigliò rumorosamente, quindi si diresse verso un tavolo imbandito e, sbranando bocconi di avanzi della cena, cercò di rimettere in moto il cervello.
Il suo vero nome era Vejen, anche se raramente ne faceva uso; preferiva usare falsi nomi e identità, per evitare cacciatori di taglie, sceriffi e guardie. Era ricercato in almeno diciassette nazioni disseminate in cinque mondi diversi, il che lo rendeva uno dei ricercati più noti di Pandora; di certo era il più giovane criminale ad avere taglie così cospicue sulla propria testa, anche se Vejen, va detto, non considerava se stesso un criminale vero e proprio. Egli preferiva definirsi un “cacciatore di tesori”. Che poi spesso tali tesori fossero in mano da altri, era un dettaglio secondario.
La sua ultima impresa era stata particolarmente fruttuosa: aveva saccheggiato il caveau del Gran Visir di Al’Alamarq, svignandosela con dei tesori fantastici tra le mani. Il colpo era stato così importante che, per l’ennesima volta, il giovane aveva dovuto lasciare il paese e spingersi fino al Portale di quel mondo, abbandonandolo permanentemente.
Anche per questo suo coraggio nel varcare i Portali, Vejen era considerato un ardito anche dai suoi nemici: per la maggior parte dei popoli di Pandora, infatti, i Portali rappresentavano un enigma troppo grande con cui giocare. Alcuni erano a senso unico, certi non si sapeva esattamente dove portassero. Alcuni portavano in luoghi differenti, certi funzionavano solo a volte, e in modi bizzarri. E poi, anche in caso di Portali dalla destinazione sicura, si trattava sempre di artefatti sulla cui natura nessuno sapeva nulla con certezza, e l’ignoto terrorizza più di ogni altra cosa.
Vejen, tuttavia, aveva varcato il suo primo portale a dodici anni, considerandolo un’alternativa migliore all’impiccagione che lo aspettava nel suo mondo natale; a distanza di nove anni, non aveva ancora cambiato idea.
Dopo la rocambolesca fuga dai palazzi di cristallo di Al’Alamarq, dunque, il furfante aveva intrapreso un duro viaggio, finendo attraverso un Portale a senso unico, capitando in un mondo di cui non conosceva assolutamente niente; il Portale di uscita era antico e abbandonato, nascosto in una enorme caverna; da lì, Vejen era strusciato fuori, trovandosi in vaste zone devastate dalla guerra. Con la sua proverbiale fortuna, il ragazzo trovò in fretta un accampamento di pastori dall’aria sudicia e, aiutandosi con il suo nuovo, grande tesoro, era riuscito a scambiare qualche prezioso con quei poveretti e a essere indirizzato verso la città in cui si trovava ora il cui nome, gli era stato detto, significava “Vecchioconfine”; qui, in cambio di un diamante, il ragazzo aveva trovato alloggio in una suite del più sfarzoso albergo della città. Senza quasi riuscire a credere alla sua fortuna, Vejen sorrise godendosi il momento, crogiolandosi nel senso di trionfo. Di lì a pochi minuti, la sua natura inquieta si fece sentire come sempre, e iniziò a chiedersi cosa fare come prossima mossa. Al momento era in un mondo sconosciuto, aveva con sé uno zaino pieno di gioielli e tesori di inestimabile valore, e non aveva alcuna meta precisa. Una persona normale avrebbe considerato l’idea di fermarsi lì, mettere a frutto l’enorme ricchezza acquisita e godersi la vita.
Vejen, però, non era fatto così. Il suo bisogno di avventura aveva un che di patologico.
Il giovane andò quindi ad aprire il proprio zaino, tirando fuori da esso il più prezioso dei tesori appena ottenuti; con estrema attenzione, prese tra le mani un grosso tomo grigio, la copertina rugosa, di consistenza ruvida e vagamente sgradevole; sul frontespizio del libro erano incise, in rilievo, delle grosse lettere dorate, la cui forma cambiava sotto lo sguardo del lettore. Sotto gli occhi acuti di Vejen, per esempio, esse si contorsero fino a formare le parole “Ciò Che Conosce”, che era poi, di fatto, il nome del libro. Vejen, ancora poco abituato a quella magica meraviglia, aprì il libro in un punto a caso, rivelando ampie pagine grigie e intonse. Prese fiato e disse:
– Libro? Ehi, libro! Forza, esci fuori!
Lentamente, tra le due pagine spalancate si estese una macchia di inchiostro più nero della notte, che piano prese la forma di un volto stilizzato; una voce come il frusciare di fogli accartocciati emerse dal libro, dicendo:
– Maledizione, ragazzo! Ti ho già detto che ho un nome. Potresti mostrarmi un minimo di rispetto, sai?
Vejen, la cui intraprendenza superava il timore dei prodigi di almeno venti a uno, rispose ridendo:
– Sì, come vuoi. Ascolta, libro, come mai questa città è così malridotta? La guerra è arrivata anche qui?
Il volto d’inchiostro cambiò forma, mutando progressivamente, alternando figure astratte a immagini reali, legate a ciò che la voce diceva.
– Aspetta un momento… sto collegandomi alle banche dati locali. Ecco, sto mettendo insieme un quadro chiaro della situazione globale: Vecchioconfine, al momento, è un porto franco, una delle poche grandi città rimaste virtualmente neutrali alla guerra.
– Sì, mi hai accennato anche ieri di questa guerra, ma non ho capito un granché: chi sta combattendo contro chi?
– Fosse facile spiegartelo! – replicò il libro con un sospiro amareggiato – Ma vediamo se riesco a farti un riassunto approssimativo. Questo mondo è rimasto isolato dal resto di Pandora da trecento venti anni, tempo in cui l’ultimo Portale attivo su questo pianeta fu disattivato; da allora, una serie di sconvolgimenti sociali ha portato, progressivamente, alla nascita di un impero planetario; poi, settant’anni fa, dopo la morte dell’ultimo imperatore, è scoppiata una guerra civile ancora in corso, su scala globale, fuori controllo e brutale. L’esatta formazione degli schieramenti è confusa e, per rispondere alla tua domanda, insomma, al momento è una guerra, fondamentalmente, tutti-contro-tutti.
Vejen annuì, annoiato. Gettando un’occhiata agli altri tesori raccolti, disse:
– Insomma, mi pare di capire che questo mondo non sarebbe proprio il posto ideale dove godermi questa fortuna. Se l’intero pianeta è in guerra, non esiste una zona sicura dove mettermi comodo, giusto?
– Beh, a in effetti, come ti ho detto, Vecchioconfine è un porto franco: con tutte le ricchezze che hai trafugato, potresti facilmente divenirne il sovrano; pianificando attentamente le tue mosse…
– Bene, allora è deciso, dobbiamo andarcene da qui! – esclamò esultante Vejen – Ora, dobbiamo solo capire come fare. Hai detto che non esistono Portali attivi, giusto?
Sospirando di nuovo, il libro, che aveva avuto molti padroni, alcuni dei quali ben più dissennati di Vejen, si impegnò a seguire il treno di pensieri di quest’ultimo.
– Non ce ne sono di attivi, ma ce n’è uno che può essere riattivato da questo lato. Posso guidatrici.
– Benissimo! Cosa stiamo aspettando?
Vejen si fece un bagno, si rase, indossò comodi abiti nuovi e spazzolò gli avanzi rimasti, quindi lasciò l’albergo, lasciando come mancia un rubino grosso come la punta del suo mignolo allo sbalordito albergatore; il giovane si incamminò quindi per le strade della città, tenendo il libro in mano, aperto di uno spiraglio, il minimo necessario a comunicare. Che poi la gente vedesse un giovane camminare per strada con un libro aperto in mano, intento a parlare da solo, non sembrava importargli più di tanto.
– Dovresti investire con più oculatezza il tesoro, sai? Non hai liquidi, e se butti via così le gemme preziose, presto rimarrai senza merce di scambio! – osservò con preoccupazione il libro. Vejen scrollò le spalle, dicendo, con un sorriso:
– I Due mi proteggono e mi portano fortuna. Qualcosa mi inventerò!
Così dicendo, guardò compiaciuto il dorso della propria mano, osservando il tatuaggio ivi inciso: due gemelli stilizzati, complementari e opposti, l’unica divinità in cui Vejen credeva e alla cui protezione era stato affidato da bambino. L’uno dominava sulla gloria, l’altro presiedeva alla disgrazia. Come lui portava il Loro simbolo sulla mano, credeva fermamente il ragazzo, così la sua vita era nel loro palmo congiunto: ciò che avrebbe dovuto essere, sarebbe stato.
– Piuttosto, da che parte dobbiamo andare?
– Verso est: un fiume passa attraverso quelle enormi montagne laggiù, sfociando nel mare; devi risalire fino alla sua sorgente.

Orrec, un vecchio pescatore, se ne stava seduto sulla sua vecchia barca a motore, ormeggiata presso la baia, avvilito e depresso: le ultime settimane di pesca erano andate malissimo, e lo spettro della miseria aleggiava sulla sua testa. Quella mattina, i suoi colleghi erano partiti prendendolo in giro: ormai Orrec era così in miseria da non potersi permettere nemmeno il carburante per andare a pesca, ed era rimasto, solo e triste, tra i moli. L’uomo stava disperato, con la testa tra le mani, quando un’ombra offuscò il sole, torreggiando su di lui; uno straniero, dall’aria cupa e inquietante, gli si era avvicinato silenziosamente. Con voce bassa e tetra, disse:
– Uomo, ho bisogno di risalire questo fiume. Pagherò bene il trasporto.
Orrec fece per protestare, incerto e un po’ spaventato:
– Ma, signore, io sono un pescatore… e non ho nemmeno il carburante per…
L’uomo incappucciato fece comparire, tra le mani del pescatore, delle pesanti monete d’oro. Orrec sorrise con ingordigia: con tanto denaro, avrebbe potuto fare il pieno e comprare un’enorme scorta di carburante.
– Da oggi, signore, sono un traghettatore! Quando vuole partire?
– Ora. – rispose seccamente lo strano individuo, prendendo posto sulla barca.
– Sissignore, ecco, certo, ma mi servirà il tempo di riempire il serbatoio e fare scorta…
– Allora fallo. – replicò l’uomo, senza dare segno di volersi spostare. Orrec esitò un momento, poi ripensò alle monete: e iniziò a sciogliere gli ormeggi, preparandosi ad avviare il vecchio motore a benzina: c’era un distributore poco più su, lungo la baia, e lì avrebbe potuto fare rifornimento. Proprio quando stava per partire, però, sentì qualcuno chiamare; si voltò, vedendo arrivare, di corsa, un giovane straniero, con un grosso zaino sulle spalle e un libro aperto tra le mani. Il ragazzo affiancò la barca, con il fiatone, facendo cenno di aver bisogno di qualcosa; Orrec, incerto, diede un’occhiata al suo passeggero enigmatico, che non parve reagire, e chiese al ragazzo cosa volesse. Questi aprì il libro, poi prese a parlare con un pessimo accento e una pronuncia orrenda: evidentemente veniva da molto lontano, e quel libro era un vocabolario.
– Ho bisogno che mi porti alla sorgente del fiume. Posso pagarti bene!
Orrec, incerto, si chiese cosa stesse succedendo; si guardò intorno, e si rese conto dell’importanza di essere rimasto lui solo, con una barca, in tutto il molo. Prima che potesse dire nulla, il giovane tirò fuori di tasca uno smeraldo purissimo, abbastanza grande da comprare una barca nuova.
– Questo è per il viaggio! – esclamò il ragazzo, sorridendo. Orrec, iniziando a sudare copiosamente, si volse verso l’incappucciato, dicendo:
– Signore, per lei sarebbe un problema se…?
Con voce seccata, lo sguardo perso verso est, quello rispose:
– Non mi importa viaggiare da solo o in compagnia, purché ci si affretti a partire!
Il pescatore, non credendo alla propria fortuna, fece cenno al ragazzo di salire e gli disse, in tono forte e chiaro:
– Il viaggio durerà molte ore; facendo benzina, posso prendervi da mangiare e da bere, se volete…
Il ragazzo lo guardò inarcando un sopracciglio, poi diede un’occhiata alle pagine del libro e si illuminò; dopo un istante, in tutta risposta, allungò ad Orrec un anello d’oro, sorridendo, e disse:
– Per le spese.
Orrec avviò il motore, sentendosi l’uomo più fortunato del mondo.
Decisamente, non lo era.

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Contina nel capitolo 5, dove…

Il Perduto e il giovane Vejen si trovano a dividere il cammino, mentre i loro destino si incrociano. Un grande gioco sta appena iniziando!

1. Il Perduto è sulle tracce del Falso Bambino, ma dove lo sta andando a cercare? Per raggiungerlo, dovrà attraversare lo stesso Portale sulle cui tracce si sta muovendo Vejen? Il bambino è in questo stesso mondo? O forse il Perduto sta solo cercando altre tracce? E quali?

2. Ai due viaggiatori se ne unirà un terzo? E se sì, che razza di personaggio sarà? Un cacciatore? Un guerriero? Un pazzo? Un nemico sotto false spoglie?

3. Qualcosa verrà svelato sulla natura del Falso Bambino; ma chi è in realtà? È un essere spregevole come lo dipinge il perduto? O forse è più complesso di quanto sembri? Un mostro, una vittima, o qualcosa di incomprensibile?

4. Che fine farà il povero Orrec? Perchè, dipendesse da me, gliene farei passare di brutte, ma chissà, il suo destino è in mano vostra!

0 Risposte a “PANDORA – Capitolo 4”

  1. 1. Il bambino è in questo mondo ed il Perduto è sulle sue tracce…
    2. No, per ora non ci saranno nuovi personaggi comprimari…
    3. Boh… diccelo tu…
    4. Orrec prende i soldi e scappa…

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