PANDORA – Capitolo 5

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Le prime ore di viaggio trascorsero piuttosto noiosamente.
Orrec, con occhi sfavillanti, gongolava al pensiero di quanto avrebbe guadagnato per una semplice mattinata di lavoro; una parte della sua testa, tuttavia, sembrava cercare di metterlo in guardia, presagendo eventi terribili. Purtroppo, ignorando di avere potentissime doti latente da chiaroveggente, il pescatore ignorò questi presentimenti, proseguendo la navigazione, cercando di non farsi turbare nemmeno dai bizzarri atteggiamenti dei suoi clienti.
Da un lato c’era lo strano spilungone incappucciato; se ne stava ripiegato in un angolo dello scafo, chino su se stesso, completamente immobile. Nonostante fosse visibilmente magro e longilineo, dava la disturbante sensazione di occupare, con la sua presenza, l’interezza della barca e oltre. A renderlo un compagno di viaggio ancora più spiacevole, emanava come una sensazione di attesa fremente, e ogni tanto produceva, come unico rumore, un cupo rantolo a malapena udibile.
Dall’altro compagno, c’era il ragazzo che, aveva stabilito Orrec, aveva evidentemente qualche problema mentale.
La prima mezz’ora di viaggio la passò completamente focalizzato sullo strano e ingombrante libro che portava con sé. La cosa che disturbava oltremodo Orrec era il fatto che il giovane parlasse con il libro, ad alta voce e con un certo entusiasmo. Dopo un po’, poi, sembrò recitare degli strani versi, tracciando gesti complessi in aria; Orrec lo fissava sbalordito, continuando a ripetersi che i soldi giustificano ogni follia, mentre l’incappucciato gli gettò un’occhiata distratta, dando per la prima volta segno di notarlo. Quando il ragazzo ebbe finito, si schiarì la gola e disse ad Orrec, con perfetta padronanza della lingua di quest’ultimo:
– Pescatore, riesci a capirmi?
Guardandosi attorno a disagio, Orrec scrollò le spalle e rispose:
– Sì signore. Non dovrei?
Gli occhi del ragazzo si accesero di entusiasmo. Diede un bacio alla copertina del libro, quindi disse:
– Eccezionale! Questa cosa mi sarà tremendamente utile. Questo libro è la cosa migliore che abbia mai rubato. Beh, una delle migliori, almeno.
Orrec si irrigidì leggermente, sempre più a disagio.
– Come, scusi?
Il ragazzo lo guardò, parlando velocemente:
– Oh, niente, niente. Tu mi capisci, hai detto, no? Hai detto che parlo la tua lingua… come hai detto che ti chiami?
Indietreggiando sul suo sedile, il pescatore rispose, nervosamente:
– Orrec, signore, se vi compiace. E sì, parlate la mia lingua, ah, molto bene. L’avete imparata assai bene, signore. Ehm. Complimenti.
Il ragazzo lo fissò senza aggiungere altro, quindi si mise comodo a guardare in cielo. L’incappucciato allora alzò leggermente lo sguardo su di lui; anche se lo sguardo era celato, se ne poteva intuire un vago interesse. Con voce profonda e roca, chiese, con una punta di curiosità:
– Quello che hai usato è un “Intreccio Delle Mille Parole”?
Il giovane gettò un’occhiata alle pagine del libro, quindi rispose, sempre sorridendo:
– Sì, esatto. Bel trucco, vero?
– Non lo chiamerei “un trucco”. Sfrutta antichi segreti sul controllo delle onde psichiche e delle vibrazioni planetarie; enormi meccanismi, per un così poco appariscente risultato. Tuttavia mi stupisce che tu lo conosca: credevo fosse una conoscenza perduta, una di quelle antiche tecnologie, dagli ignoranti chiamate “magie”, andate perse insieme ai loro creatori, i Saggi M’Zenda. Sarei indiscreto a chiederti come ne sei entrato in possesso?
Il giovane scrollò le spalle, con sufficienza.
– Non so bene come funzioni. L’ho imparato in un libro. – terminò, ghignando.
Lo straniero fissò con rinnovata intensità il giovane, che sembrava il ritratto della spensieratezza. Improvvisamente si fece silenzio; era chiaro che nella testa di ognuno dei due ronzavano domande che avrebbe voluto fare all’altro, ma per qualche ragione nessuno sembrava voler fare la prima mossa. Ancora una volta, Orrec decise che meno ne sapeva, degli affari di quei due, meglio sarebbe stato.
Per lui contava solo una cosa: portarli a destinazione, e tornare a casa con la sua nuova ricchezza!
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Vejen, inguaribile curioso per natura, era tentato di scoprire cosa nascondesse il suo compagno di viaggio; cosa cercava? Sembrava avere una fretta dannata di raggiungere la sorgente del fiume, ma come mai? Anche lui mirava al Portale? Anche lui conosceva un modo per riattivarlo? Inoltre, per lui che aveva viaggiato in lungo e in largo tra diversi mondi, era fin troppo facile capire come non fosse umano, anche se non riusciva a stabilirne l’esatta natura, infagottato com’era in quel suo mantello pesante. Tuttavia, gli sembrava indelicato fare domande a qualcuno, quando poi lui per primo sarebbe stato restio a rispondere.
In effetti, spesso era stata la curiosità di Vejen, insieme alla sua patologica incapacità di preoccuparsi realisticamente del concetto di “conseguenza”, a ficcarlo spesso nei guai, costringendolo a spostarsi in continuazione; fin troppo spesso, il giovane avventuriero aveva l’abitudine di agire prima, poi mangiare qualcosa, farsi una dormita, farsi una bevuta, flirtare con una bella ragazza, agire ancora una volta e poi, dopo un’altra bella dormita, riflettere.
Tutto questo appare certamente contraddittorio: un ragazzo così impetuoso, disordinato e irriflessivo parrebbe avere, nel tipo di carriera che egli si era scelto, un’aspettativa di vita a dir poco breve. Tuttavia è anche vero che Vejen godeva di una serie di talenti eccezionali: il suo intuito rasentava il sovrannaturale, possedeva destrezza, agilità, equilibrio e coordinazione in quantità abnormi, sapeva mentire con disarmante bravura e, sopra ogni altra cosa, il suo destino era sotto il segno dei Due, nel bene e nel male.
Dopo alcune ore, Vejen fece un bello spuntino con la spesa che il pescatore aveva fatto prima di partire; offrì un panino anche all’incappucciato, che però rifiutò con un cenno. Chiudendo gli occhi, il ragazzo incrociò le braccia dietro la testa, stendendosi e fischiettando.
Il resto della mattinata trascorse senza eventi degni di nota, in un silenzio rotto solo da occasionali osservazioni di Vejen sul panorama e sul clima; poi, finalmente, nel pomeriggio, arrivarono ai piedi di una vasta catena montuosa, dalla quale aveva origine il fiume che stavano navigando. Orrec prese un bel respiro e disse:
– Signori, siamo arrivati. Da qui inizia il fiume Balynn.
Vejen aprì il libro, chinandovisi sopra; sussurrò:
– E ora?
Tra le pagine presero forma le parole:
– Devi risalire le montagne: il fiume ha origine da un immenso lago vulcanico in mezzo ad esse. È lì che devi andare.
Annuì, quindi si alzò; ringraziò il pescatore e scese dalla barca, gettando uno sguardo all’altro viaggiatore. Questi si alzò lentamente, a sua volta, seguendo Vejen sulla riva del fiume in silenzio. Orrec parve incerto:
– Cos’altro posso fare per voi? Volete che vi attenda per ritornare in città?
L’incappucciato rispose, senza guardarlo:
– Non per me. Io non torno mai indietro.
Senza togliere gli occhi di dosso al suo bizzarro compagno, Vejen disse:
– Nemmeno io credo che avrò bisogno, grazie, Orrec. Piuttosto, vorrei chiederti un’informazione: io dovrei risalire queste montagne; conosci un sentiero o una strada?
Prima che Orrec potesse replicare, lo straniero intervenne dicendo:
– Anche io sono diretto tra le montagne. Conosco la via migliore. Puoi venire con me.
Con un ghigno, Vejen annuì; salutò Orrec e si incamminò dietro il suo lugubre accompagnatore.
Orrec, con un sospiro di sollievo, iniziò a voltare la barca, preparandosi a tornare a casa ricco e contento, ignorando ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
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Tra le montagne, Hereza si strinse le braccia al petto, soffocando un improvviso brivido. Il suo schiavo era già in cammino, ma la potente strega dubitava che avrebbe ottenuto un grande successo: nel migliore dei casi avrebbe rallentato il Perduto. Ma nulla doveva restare intentato.
Voltandosi in un fruscio di abiti e capelli d’oro e platino, la donna si incamminò verso i resti del tempio, antica reliquia di un tempo perduto le cui rovine si ergevano sul grande lago da cui nasceva il fiume Balynn. Con un sorriso privo di spirito, Hereza considerò che l’avanzata del Perduto era sicuramente incessante e inarrestabile, ma non veloce, almeno; se anche non fosse stato intercettato da Negato, ci avrebbe comunque messo parecchie ore ad arrivare fin lì.
Arrivata al tempio, i suoi occhi caddero sulla piccola figura che sedeva al centro del pavimento sbrecciato e rovinato, immersa in profonda meditazione. Era un bambino, gracile e delicato, dal colorito marmoreo; i capelli, neri come la notte più buia, gli cadevano sul collo e sulla fronte in ciuffi spettinati. Pur indossando solo una informe tuta grigia, non sembrava soffrire il freddo intenso che, a quell’altitudine, spirava già da metà pomeriggio.
Raggomitolato attorno al bambino, c’era il suo cane.
Grosso come un pony, qualsiasi osservatore l’avrebbe trovato istintivamente sbagliato; la sua postura, la forma e la lunghezza delle zampe, la conformazione del muso, davano la sensazione di un’imitazione di un cane, piuttosto che un cane vero. Il pelo, grigio e polveroso, era folto e crespo, e bastava avvicinarsi di poco per costatare che, sparse lungo la sua pelliccia, si agitavano macchie confuse; erano vivai di larve, che senza requie strisciavano le une sulle altre, come un fluido torrente che si spostava lungo l’intera lunghezza della bestia. All’avvicinarsi di Hereza, una palpebra dell’animale si aprì appena, rivelando, in vece di un occhio, un pozzo catramoso. La strega, con riverenza, si inginocchiò nei pressi del bambino, ignorando palesemente l’attenzione della spaventosa creatura. Disse, con voce sottomessa:
– Maestro, il Perduto che ti segue è vicino, e ho percepito, al suo fianco, una presenza indistinta. Ho mandato uno schiavo per fermarlo, ma non so se ne sarà capace. Non conosco i suoi poteri, o essere meraviglioso, né conosco a pieno i tuoi; confido che tu possa distruggerlo con un cenno, ma forse sarebbe prudente metterti al sicuro?
Dopo alcuni istanti di cupo silenzio, il cane si alzò lentamente, producendo una sarabanda di assurdi scricchiolii. Poi, il bambino aprì i suoi occhi, neri quanto i capelli, voltandosi lentamente verso la donna. Parlò, e la sua voce era, insieme, infantile e aliena, priva di espressione.
– Continui a chiamarmi maestro, strega. Sei persistente.
Gli occhi azzurri di Hereza fremettero.
– Non demorderò mai, maestro. So che solo tu puoi guidarmi verso il segreto che cerco, e farò di tutto per mostrarmi all’altezza!
– Credi ciò che preferisci. È ininfluente. So che vorresti che io apprezzassi ciò che fai, le mille trappole che continui a porre sulla strada del mio inseguitore. Eppure, non lo farò: ogni gesto che compi è semplicemente parte del disegno. Tutto è già stato, e ogni altra idea è insignificante. Se il Perduto deve arrivare da me prima che io attraversi il varco, così sarà. Il disegno chi tra noi raggiungerà per primo la sua meta. Le emozioni sono superflue: conta solo la realizzazione degli eventi.
Hereza strinse i pugni, provò a dire qualcosa, poi si fermò. Si rialzò lentamente, spolverandosi la gonna scarlatta, costringendosi a respirare con calma. Dentro di sé, la strega era sicura che un giorno avrebbe convinto il falso bambino ad ammettere di essere chi lei credeva che fosse, il liberatore dei mondi, colui che avrebbe sciolto i sigilli di Pandora, che avrebbe spezzato le antiche serrature e rivelato il potere dei Creatori. Nella lingua delle streghe, veniva chiamato il Majnaggda. Tuttavia, il bambino non ammetteva ancora niente: erano mesi che lei aveva iniziato a seguirlo, e ancora non aveva voluto svelarsi. Ma Hereza aveva il dono della pazienza, ed era pronta ad aspettare.
Si chiese, con agitazione crescente, cosa sarebbe successo quando il Perduto fosse arrivato lassù.

Continua nel capitolo 6 dove…

1. Lungo la strada per il lago, cosa aspetta i due viaggiatori?

nuovalon062Nulla, arrivano lì direttamente.
nuovalon063Incontrano Negato.
nuovalon064Incontrano un terzo viaggiatore.
nuovalon065Incontrano un ostacolo naturale.

2. Un evento tremendo sta per scatenarsi! Quale segno lo distinguerà?

nuovalon062Fuoco e cenere.
nuovalon063Una gelida tempesta.
nuovalon064Teschi e ombre.
nuovalon065Acciaio e fumo.

 

3. Scegliete uno stemma araldico per uno scudo!

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