Quanto siamo liberi su internet?

Foto: Protest against ACTA

In italia si parla spesso del digital divide, che esclude moltissimi nostri concittadini dall’accesso alle enormi potenzialità offerte dalla rete. Più raramente invece si fa riferimento al problema dell’apertura di internet (cioè al grado di controllo esercitato dal governo su cosa possiamo e non possiamo fare sul web).

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Per noi italiani infatti questo sembra un problema inesistente, che ha a che vedere con paesi lontani ed autoritari (per esempio, spesso in questi casi si fa riferimento alla “grande muraglia Cinese”, che blocca tutti i contenuti online scomodi al regime di Pechino) più che con la nostra nazione.

La realtà purtroppo è ben riversa. Infatti, un’organizzazione chiamata OpenNet Initiative, che lotta in favore delle libertà sulla rete, ha pubblicato un rapporto e delle mappe che mostrano il grado di apertura del web in 74 paesi, tra cui l’Italia.

Il rapporto è diviso in diverse categorie, tra cui ci sono il livello di controllo governativo su questioni politiche e di sicurezza, sociali e sugli strumenti collegati ad internet (ad esempio, controllo sul Voip), a cui vanno ad aggiungersi il grado di trasparenza (quanto il governo dichiara apertamente cosa controlla) e di consistenza (quanto vengono uniformamente applicate le restrizioni).

I risultati purtroppo mostrano che l’Italia è il paese europeo meno libero sulla rete. In particolare, l’applicazione non uniforme di restrizioni lascerebbe allo stato un grado di arbitrarietà eccessiva nel regolare i contenuti su internet. Viene fatto rifermento al caso Google Video del 2006, in cui Google venne multata per aver permesso ad utenti di caricare video “contrari alla moralità”.

Più o meno lo stesso discorso vale per i bloggers italiani, che rischiano multe severe se criticano le persone sbagliate nel momento sbagliato o anche solo se degli utenti postano messaggi ritenuti offensivi nei forum dei loro siti.

L’Italia inoltre è il paese in Europa che restringe nel modo più severo l’accesso a siti di scommesse, autorizzando solo pagine che sono collegate ai monopoli di stato. Fa paura infine la proposta di legge del 2008, detta “ammazzablog”, la quale voleva obbligare tutti i produttori di ‘contenuti editoriali’ ad allienearsi agli standard giornalistici, con forti costi e restrizioni legali.

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Quello che emerge dal rapporto quindi è che l’Italia ha ottenuto un punteggio basso non solo per via delle restrizioni in atto, ma per via della volontà dei governi che si sono susseguiti negli ultimi anni di estendere il controllo statale sulla rete.

Autore: Marco Ferrara

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